Clementina Ianniello sarà ospite oggi del programma S’è fatta notte con Maurizio Costanzo. Nel 2006, la figlia Veronica Abbate di 19 anni, è stata brutalmente uccisa dal fidanzato, il 22enne Mario Beatrice, allievo della Guardia di Finanza che l’ha freddata con un colpo di pistola. La signora Clementina non si è mai fermata, ed ha raccontato la sua drammatica storia, in giro per l’Italia per sensibilizzare l’opinione pubblica. In questi giorni, ha deciso di raccontarsi anche con i ragazzi del “Fermi-Mattei” di Isernia. “I ragazzi sono anime da riempire ed è importante riempirle con cose buone. A loro non piacciono i dati statistici sul femminicidio, io parlo con il cuore e solo così riesco a conquistare l’attenzione”, ha spiegato. La Ianniello viene da Mondragone, in provincia di Caserta. Ed è proprio qui che ha deciso di aprire un centro di accoglienza per donne vittime di violenza. “La casa Vieri” è il nome della struttura che ha voluto dedicare in memoria della figlia Veronica. “La risposta che ricevo da un punto di vista emotivo e psicologico è positiva – ha aggiunto la donna –. Poi, però, ci sono problemi strutturali, perché le donne hanno bisogno di un’autonomia economica per trovare il coraggio di abbandonare quell’inferno domestico”.



Clementina Ianniello a S’è fatta notte

Intervistata da Huffingtonpost, Clementina Ianniello ha ricordato la figlia Veronica Abbate, menzionando il drammatico accaduto. “Era il 3 settembre, di domenica. Veronica stava studiando per prepararsi ai test di ammissione alla Facoltà di Medicina”, ricorda Clementina. “Da quel giorno è come se mi fossi spenta. Non è stato pensato un termine per indicare un genitore che ha perso un figlio: è una sofferenza insopportabile, che si porta via emozioni, colori, profumi, la curiosità per il mondo. La parola ‘felicità’ è stata bandita da casa mia: mio marito Lello e mia figlia Ylenia sanno che le cose non potranno mai tornare come prima”. Sono passati 13 anni dalla morte della figlia ma nemmeno il tempo sarà in grado di rimettere insieme il suo cuore devastato dalla sofferenza. Poi, l’intervista è proseguita parlando sempre del centro di accoglienza aperto con il sostegno dell’assistente sociale Emmanuela Sorrentino, due psicologhe e tre operatrici.  “Le storie di queste donne sono tutte simili tra loro, stereotipate: minacce, botte, sensi di colpa, paura. Sembra di leggere sempre lo stesso copione”, prosegue Clementina. “Io mi sento un po’ come la loro mamma: insegno loro a ricominciare a vivere, come vestirsi, cosa fare e cosa no, a volersi bene: per me è un po’ una missione”.

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