A pochi giorni dalla giornata della memoria Rai1 trasmette la docu-fiction “Figli del destino“. Un racconto amaro, ma reale della vita di quattro giovani bambini ebrei italiani. La loro deportazione nei campi di concentramento, l’odio subito, ma anche la libertà ritrovata. Quattro voci che ancora oggi raccontato quanto successo in quei campi di concentramento, quando dolore e sofferenza abbiano dovuto patire e vedere nonostante la giovanissima età. Tra questi ragazzini c’è anche Lia Levi, giornalista e sceneggiatrice tra i pochissimi ebrei italiani sopravvissuti alle deportazioni dei nazisti nei campi di concentramento.
Chi è Lia Levi
Classe 1931, Lia Levi è nata a Pisa da una famiglia piemontese di origini ebraica. Intorno ai primi anni ’40 la famiglia lascia Pisa per trasferirsi a Roma. Un’infanzia difficile visto che durante il periodo nazista ha dovuto vivere sulla propria pelle, non solo gli anni della guerra, ma anche della persecuzione razziale. Per fortuna la ragazza riesce a sfuggire alle deportazioni naziste rifugiandosi con le sorelle nel collegio romano delle Suore di San Giuseppe di Chambéry. Giornalista e scrittrice, nel 1994 pubblica il primo libro dal titolo “Una bambina e basta” in cui racconta come le deportazioni naziste abbiano avuto un impatto forte anche sui quegli ebrei riusciti a scampare ai campi di concentramento, ma costretti a vivere per anni in segreto e nella paura di essere scoperti e uccisi. Una testimonianza, quella di Lia Levi, che l’ha portata a scrivere e condividere tutto questo dolore in libri diventati dei veri e propri cult tra i giovanissimi.
“Vittima delle leggi razziali”
Lia Levi è riuscita a mettersi in salvo dalla deportazione dei nazisti, ma è a tutti gli effetti una vittima delle leggi razziali. Su quegli anni, infatti, la giornalista e sceneggiatrice ricorda: “molte cose ci erano precluse come l’affezionarci a un posto. Era vietato assumere ebrei, così ci spostavamo di città in città per permettere a papà di cercare lavoro. Da Pisa a Torino a Milano e infine a Roma, dove lui trovò un posto ma in semi-clandestinità: in modo anonimo si occupò degli aspetti legali di una piccola azienda”. Durante quegli anni si appassiona alla lettura e alla scrittura e sulla sua infanzia ricorda: “è stata tutto sommato felice, difficile, però felice. O almeno nel mio ricordo me la sono costruita così. Per la verità, oggi capisco che la nostra è una memoria particolare, che non appartiene solo ai cosiddetti sommersi o ai salvati. I nostri erano occhi bambini, che non capivano ma coglievano la paura, il disagio”. La giornalista parlando dei tempi moderni intravede un clima non proprio positivo: “di certo c’è un clima molto favorevole alle discriminazioni. E c’è una continua evocazione di antiche paure che io riconosco benissimo. Non posso credere, da persona che ha vissuto certe cose, che alcune delle aggressioni degli ultimi tempi, da Torino a Pistoia, siano casuali. C’è un ammiccare a certe idee che non mi piace”.