Oscar 2019 troppo politically correct, ammaliato dal botteghino e “intimorito” dal futuro del cinema. La 91esima edizione del premio più prestigioso e antico al mondo per il settore lascia l’amaro in bocca, con l’Academy che ha perso una grande occasione per fare un passo in avanti e per rilanciare la settima arte. Il mainstream ha avuto la meglio sul possibile erede di Kubrick, il gusto popolare ha sovrastato la qualità e la ricercatezza. Il premio per il miglior film è andato a Green Book di Peter Farrelly e, per assurdo, è uno dei riconoscimenti più “giusti”: una commedia agrodolce che lascia il segno e che vanta un cast di assoluto rispetto. Ciò che stona nell’elenco dei premiati sono gran parte delle altre categorie: salviamo la scelta di Olivia Colman come miglior attrice protagonista, straordinaria in The Favourite, seppur a scapito dell’intramontabile Glenn Close. Giusto il premio per la miglior sceneggiatura non originale a Blackkklansman, così come il premio per il miglior attore non protagonista a Mahershala Ali o ancora il premio per il miglior film straniero a Roma di Alfonso Cuaron, “frenato” forse da Netflix per la corsa al best picture.



Perché parliamo di un’edizione degli Oscar esageratamente politically correct? Partiamo da Black Panther, il diciottesimo film del Marvel Cinematic Universe: tre statuette per il fantasy basato sul personaggio di Pantera Nera appaiono troppe, soprattutto in categorie dove è nettamente inferiore (scenografia e costumi a The Favourite, colonna sonora a If Beale Street Could Talk). Riconoscimenti ad hoc, in particolare se si pensa che il capolavoro di Yorgos Lanthimos ha vinto appena una statuetta nonostante le dieci candidature (la Colman come migliore attrice protagonista, appunto). Stesso discorso per quanto riguarda Bohemian Rhapsody, che si è portato a casa quattro statuette (miglior attore protagonista, miglior montaggio, Sound Mixing e miglior sonoro): la spinta del botteghino e “l’appoggio” del pubblico sembra aver inciso oltremodo sulle scelte dell’Academy. Difficile trovare altre spiegazioni per il premio assegnato a Rami Malek e non a Christian Bale, magistrale in Vice – L’uomo nell’ombra, o ancora la vittoria per il miglior montaggio al posto della pellicola diretta da Adam McKay…



Perplessità su Regina King come miglior attrice non protagonista, Amy Adams ed Emma Stone non sono apparse inferiori, mentre è condivisibile la statuetta a Roma per la miglior fotografia. Ineccepibili le scelte di Free Solo per il miglior documentario, di Shallow (A Star Is Born) per la miglior canzone e di Spiderman – Into the Spider-Verse per il miglior film di animazione. Una riflessione sul “flop” di The Favourite di Yorgos Lanthimos, uno dei migliori registi degli ultimi anni: superato da Green Book per la miglior sceneggiatura originale, il lavoro del cineasta greco ha ricordato il Kubrick di Barry Lindon e offre lo sguardo più innovativo sul cinema dal punto di vista stilistico ma non solo. Snobbato agli Oscar già per Il sacrificio del cervo sacro, Lanthimos avrebbe meritato sicuramente più considerazione e farà certamente ricredere l’Academy negli anni a venire: il suo film sarà quello che segnerà la storia del cinema, divenendo un punto di riferimento per il dramedy storico.

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