E’ stata un’intervista dai contenuti molto intensi quella concessa da Edith Bruck, deportata di Auschwitz, a Mara Venier per Domenica In. La donna, sopravvissuta all’Olocausto, ha raccontato il primo tragico impatto con la realtà dei campi di sterminio:”Mia madre mi pettinava e mi faceva le trecce con i fiocchi. Ho detto ‘mio Dio, è troppo dolce con me’, questo gesto di dolcezza mi ha spaventato, mi ha allarmato, siamo arrivati ad Auschwitz, abbiamo fatto i bisogni nel vagone come bestie, orribile, e c’erano i tedeschi con dei cani mostruosi che abbaiavano, in un batter d’occhio ci hanno divisi e mi hanno buttato da un lato con mio padre. Non sapevamo allora, la sinistra era la morte, camera a gas, a destra lavori forzati. Io sono andata con mia madre, un soldato si è chinato su di me e mi ha detto ‘vai a destra’, mia madre mi ha detto obbedisci, il tedesco non sapeva cosa fare, ha sbattuto a terra mia madre e non l’ho più vista”. Un racconto che fa accapponare la pelle… (agg. di Dario D’Angelo)



EDITH BRUCK: “LA BAMBOLA, LA CASA, I GENITORI: HO PERSO TUTTO”

Edith Bruck, vittima con la sua famiglia della Shoah, ripercorre a Domenica in il suo doloroso ricordo dell’Olocausto. L’ospite conferma che ciò che le è accaduto “non si può definire atrocità, è disumanità”, perché “non si può dire fino in fondo cosa hai vissuto: un’esperienza del genere condiziona al vita a tutti i livelli (…) non è più quello di prima”. La sua storia ha inizio “nel ’42 in Ungheria. C’erano già io primi segnali – ricorda la Bruck nel salotto di Mara Venier – i bambini sputavano nella nostra acqua, hanno rotto la testa a mio fratello”; ma dalle prime avvisaglie alla deportazione il passo è stato breve: “Ho nascosto la mia bambola, era la mia prima bambola, prima ne avevo una fatta con la pannocchia, ma poi mia sorella mi ha portato la mia prima bambola. Quando hanno bussato alla porta – ricorda l’ospite – l’ho portata in soffitta e le ho detto ‘resta qui, torno a prenderti quando torno”, ma al suo ritorno ad attenderla, purtroppo, non c’era più nulla: “Non ho ripreso niente, né la bambola, né la casa, né i genitori, ho perso tutto”. (Agg. di Fabiola Iuliano)



“Auschwitz, un’università dove si impara tutto per sempre”

Edith Bruck, deportata di Auschwitz, è una delle ospiti della puntata del 27 gennaio 2019 di Domenica In, il contenitore televisivo condotto con grande successo da Mara Venier. In occasione della Giornata Della Memoria che ricade ogni anno il 27 di gennaio, Mara Venier ha deciso di ospitare Edith Bruck, deportata nel 1944 ad Auschwitz con la sua famiglia e sopravvissuta con la sola sorella dopo un’odissea che l’ha portata a spostarsi attraverso ben 4 campi di concentramento. Un’intervista esclusiva quella fatta alla poetessa che porterà il suo contributo raccontando quello che ha vissuto sulla propria pelle in quei terribili campi di concentramento.



Edith Bruck: “la mia università si chiama Auschwitz”

Scrittrice e giornalista, Edith Bruck lo scorso anno ha ricevuto presso l’Università di Roma Tre una laurea honoris causa. Un premio speciale che ha visto la sopravvissuta ai campi di concentramento di Auschwitz raccontare gli orrori vissuti all’interno dei lager in cui hanno perso la vita all’incirca sei milioni di ebrei. “La mia università si chiama Auschwitz, un’università dove si impara tutto per sempre, anche a conoscere sé stessi” ha raccontato la poetessa in occasione della premiazione. Parole a cui hanno fatto seguite quelle del rettore Luca Pietromarchi, che ha voluto sottolineare l’importante di certe lauree: “sono la testimonianza della profonda attenzione della nostra Università nei confronti di tutto quello che è memoria storica, impegno sociale e diffusione della cultura”.

Una laurea honoris causa

Edith Bruck, sopravvissuta agli orrori di Auschwitz, continua a far sentire forte e chiara la sua voce raccontato quanto successo nei lager nazisti. Per questo motivo la poetessa ha ricevuto una laurea honoris causa per il suo impegno costante nel ricordare e raccontare una delle pagine più terribili della storia moderna. “Entrambe esprimono l’importanza che Roma Tre, in ogni sua manifestazione, assegna ai verbi servire (il prossimo) e ricordare (la storia)” ha ricordato Paolo D’Angelo, direttore del dipartimento di filosofia, comunicazione e spettacolo che ha sottolineato ancora una volta “l’opera da lei intrapresa, lungo tutta una vita, per testimoniare l’orrore della Shoah e per mantenere viva la memoria di ciò che è accaduto in Europa per mano del nazismo e degli esecutori ad esso asserviti, oltre che per tenere desto nelle giovani generazioni il rifiuto dell’intolleranza e del razzismo”. Non solo, l’uomo ha sottolineato come Edith Bruck non si sia solo limitata a raccontare lo sterminio, ma abbia anche fatto un’attenta analisi di riflessioni sul peso di un’esperienza vissuta e sulle tante difficoltà che ha incontrato nel far ascoltare questa agghiacciante storia.