Che il Festival di Sanremo sia il rito per eccellenza del politicamente corretto non è certo una novità. Quindi mi sembra un po’ un esercizio inutile lamentarsene a giochi fatti. Basta non guardarlo e mettersi il cuore in pace. Una conduzione alla Fazio poi era una garanzia, per così dire, blindata che questa caratteristica del festival sarebbe stata rispettata: è il nazional popolare del terzo millennio che è declinato in questi termini. O come ha scritto Aldo Grasso, parlando argutamente di una “tv fazista”, «c’è un po’ di Fazio in tutti noi. Fabio è qualcosa di più di un presentatore, è “un piantone della coscienza“ televisiva».
Quindi se nel corso del Festival abbiamo assistito a ripetuti richiami al tema delle coppie omosessuali non c’è di che stupirsi: è uno dei temi che da un po’ di tempo in qua è in cima alla lista del politicamente corretto. Intendiamoci: il tema è un tema vero, che va affrontato in modo civile e rispettoso di situazioni umane che oggi sono relegate in un limbo giuridico che ha tanti risvolti di gratuita crudeltà. Lo ha detto anche la chiesa nei giorni scorsi, per voce di monsignor Paglia, dimostrando di obbedire a un principio di realtà: «Se di fronte al moltiplicarsi delle convivenze non familiari si ritiene importante un intervento, credo che già il cardinal Ruini nel 2005 abbia dato indicazioni sul versante dei diritti individuali».
Quindi non c’è da sorprendersi rispetto a quanto abbiamo visto nel palinsesto di Sanremo. Piuttosto il ragionamento da fare è un altro. Ho molti amici omosessuali, ai quali va la mia stima vera. In loro trovo spesso un’acutezza di sguardo, una finezza nei giudizi estetici, e anche un livello di cultura decisamente fuori dalla media. Mi sono chiesto come si spieghi un fatto del genere, e l’unica risposta che mi so dare è che la ferita che la loro condizione comunque comporta (che sia stigma sociale, o difficoltà ad accettarsi, o difficoltà nel costruirsi una vita), porti un’inquietudine vitale. Non è un caso che da sempre molti omosessuali siano stati anche dei grandi se non dei sommi artisti (Michelangelo e Leonardo su tutti). Tutti ci portiamo piccole o grandi ferite dentro, per gli omosessuali questa ferita è probabilmente più profonda e certamente meno eludibile.
Ora, riassorbire la questione dentro i parametri del politicamente corretto, mi sembra un demenziale impoverimento. L’omosessualità è di fatto una condizione “non corretta” e arruolarla nella normalità, ricorrendo anche a forzature linguistiche che a pensarci bene suonano un po’ ridicole (il matrimonio, ovvero compito della madre intendendo la crescita dei figli), è un’operazione questa sì un po’ contro natura. Il fatto che sia “non corretta” non lo considero affatto un di meno, ma semmai una ricchezza, come accade a tutte le figure “irregolari” che per fortuna vivificano con la loro imprevedibilità la vita collettiva. Quella omosessuale è spesso una sensibilità preziosa difficilmente omologabile. 



Normalizzarla è quindi farle un torto. Questo non c’entra, come detto, con la giusta richiesta di diritti, che oltretutto sanciscono un desiderio di fedeltà reciproca tra due persone dello stesso sesso (una contraddizione interna al “politicamente corretto” che da una parte combatte l’idea di indissolubilità di un rapporto e qui invece, senza neanche accorgersi, difende un principio di fedeltà…). 
C’entra con il “fazismo” che facendo leva su buoni sentimenti e in forza di un moralismo al passo con i tempi, vorrebbe banalizzare un’esperienza che non è affatto banale. Per il dolore che comunque comporta, e per la ricchezza che attraverso uno sguardo e una sensibilità diversa porta alla vita di tutti.

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