È un intervista che parte dal lungo passato politico, per poi arrivare ad un’attualità che sembra averlo dimenticato e concludere con un futuro che sembra avere ormai più poche pagine quella rilasciata da Cirino Pomicino al Corriere della Sera: storico ex ministro democristiano scelto per il dicastero delle Finanze, finito al centro dello scandalo Enimont ed accusato (ancora oggi, seppur lui abbia sempre negato, anche in questa nuova intervista) di essere l’artefice del nostro enorme debito pubblico. Partendo della sua attualità, Cirino Pomicino ci tiene a dirsi ancora fermamente religioso, tanto che “tutte le sere dico il Rosario: quello da quindici poste, il più lungo”; ma anche profondamente scaramantico come quanto “nel 1992 Guido Carli andò da Andreotti per dimettersi” e lo convinse a non farlo perché “l’unica volta che nella storia della Repubblica si era dimesso un ministro delle Finanze, il ministro del Bilancio era morto subito dopo“.



Ma tornando subito alla vecchia storia del debito pubblico, smente nuovamente – tanto da chiamarle “sciocchezze” – tutte le accuse, sottolineando che ancora oggi “non si ha idea di quanti soldi abbia portato io a Napoli negli anni 80″ e ribadendo che “è dimostrato (..) che l’esplosione del debito pubblico non fu dovuta all’aumento della spesa pubblica ma alla bassa pressione fiscale”. E alla velata accusa del Corriere di non aver fatto pagare abbastanza tasse, Cirino Pomicino ricorda che i suoi furono gli anni “dello sconto sociale e del terrorismo, il consenso ci serviva” e nonostante questo “con noi l’Italia divenne uno dei Paesi più ricchi del mondo“.



Cirino Pomicino: “Enimont non mi ha arricchito, oggi non possiedo neppure una casa”

E la cara vecchia politica non può che richiamare – nell’intervista di Cirino Pomicino – al caso Enimont: “Venne da me – ricorda – il figlio di Ferruzzi” dicendo che “se De Benedetti finanziava la sinistra e Berlusconi i socialisti, loro volevano contribuire all’attività della corrente del presidente” e non poteva certo rifiutare; ma di contro quanto “Raul Gardini venne a trovarmi [per] convincermi a dargli una mano a far entrare due sue società nell’operazione Enimont, allargai le braccia” e rifiutò – sottolinea lo stesso Cirino Pomicino – di diventare “milionario“. Non a caso oggi non si descrive sicuramente come una persona ricca, ed anzi precisa che “non ho nulla, neanche la casa che è di mia moglie” ricordando che tanti anni fa “rifiutai con grande fatica l’offerta di denaro generosissima che Berlusconi mi fece (..) pur di avermi come suo ghost writer” perché questo avrebbe significato “abbandonare la politica”.



Ripensandoci ricorda che proprio in quell’occasione “un medico mi aveva detto che, dei tanti modi di morire, farlo in modo malinconico sarebbe stato il peggiore” e non a caso oggi si dice assolutamente convinto delle scelte che ha fatto in vita sua. Ma rimanendo in questa vena malinconica – alla fine – Cirino Pomicino confessa anche che “credo [che questa] sia la mia ultima intervista. Non sto bene, sto per ricoverarmi di nuovo” e sul figurativo letto di morte ci tiene a lasciare “una risposta a tutti quelli che mi chiedono che cosa farei, oggi, nella situazione [economica] in cui si trova l’Italia” confessando che l’unica cosa fattibile sarebbe chiamare “a raccolta tutti i grandi ricchi del Paese e [proporre] un grande patto per salvare l’Italia“.