La studentessa italo-norvegese che accusa Ciro Grillo, Francesco Corsiglia, Vittorio Lauria e Edoardo Capitta di violenza sessuale di gruppo ha lasciato l’aula del tribunale di Tempio Pausania, dove si sta svolgendo l’udienza a porte chiuse del processo, per non vedere i video che la ritraggono in alcune scene del presunto stupro. Come evidenziato dall’Ansa, durante il controesame dei legali della difesa, sono stati mostrati un video e alcuni secondi di altri spezzoni di registrazione estrapolati dai telefoni cellulari degli imputati e confluiti nel dibattimento. Il collegio giudicante ha ribadito di aver già visto le immagini riproposte oggi pomeriggio in aula.
È uno dei quattro video in cui si vedrebbero le scene della presunta violenza sessuale contestata agli imputati e denunciata dalla ragazza. Inoltre, sono stati proiettati altri fermi immagine su cui si sono concentrate le domande della difesa riguardo l’abbigliamento indossato dalla studentessa quella notte. Per la difesa ci sarebbero delle incongruenze, infatti su questo hanno incalzato la teste, che anche nell’udienza di oggi ha avuto momenti di crisi emotiva, nonostante l’audizione protetta l’abbia nascosta agli occhi degli avvocati. «Ho visto tutto nero, il mio corpo non mi rispondeva, ho avuto un mancamento e sono svenuta», ha risposto la giovane. (agg. di Silvana Palazzo)
CIRO GRILLO PROCESSO: AUDIZIONE VITTIMA CON DRAPPO NERO
Un drappo nero per impedire alla presunta vittima di violenza sessuale di gruppo di vedere gli avvocati della difesa nel controesame di oggi e domani al tribunale di Tempio Pausania. Prosegue il processo a porte chiuse a Ciro Grillo e tre suoi amici genovesi, Edoardo Capitta, Vittorio Lauria e Francesco Corsiglia, e i giudici, in accordo con le parti, hanno preso tale decisione, dopo la richiesta di audizione protetta presentata dall’avvocato Giulia Bongiorno, legale della studentessa italo-norvegese che sostiene di essere stata vittima di uno stupro di gruppo. L’istanza è stata motivata dalle condizioni psicologiche particolamente delicate della sua assistita. Le domande, però, non sono filtrate dal presidente del Tribunale, Marco Contu, a formularle direttamente i legali della difesa. Lo riporta l’Ansa, spiegando che si era pensato di far transitare le domande al presidente Contu, che poi le avrebbe lette alla teste, per rendere meno traumatizzante l’audizione. Alla fine si è deciso di procedere per una linea di mediazione, con la protezione col drappo nero, rendendo non visibili le reazioni della ragazza e impedire gli sguardi diretti tra lei e i legali degli imputati.
L’istanza, riferisce il Corriere della Sera, è stata presentata per segnalare che la situazione psicologica della ragazza è peggiorata. Infatti, sono state allegate due valutazioni: una dello psichiatra, l’altra della psicologa che la segue. Entrambi hanno segnalato la modifica della terapia che avevano messo a punto, in particolare l’aumento delle dosi farmacologiche. Nell’istanza dell’avvocato Giulia Bongiorno si fa presente che la presunta vittima dello stupro di gruppo ha risposto a circa 1.400 domande nelle sue quattro udienze, oltre mille se si escludono quelle ripetute. Inoltre, si segnala che il suo esame equivale a 22 ore di udienza, 17 escludendo le pause. In questo modo, il legale della ragazza vuole evidenziare la fatica emotiva sostenuta in aula dalla ragazza per chiedere eventuali misure per la sua protezione psicologica. Richiesta che è stata presa in esame dal presidente, visto che nell’aula dell’udienza a porte chiuse di stamane è apparso appunto il drappo nero come paravento per separare gli avvocati, assistenti e carabinieri da lei, che comunque non vuole sottrarsi alle domande.
“KITE SURF? VOLEVO STACCARMI DALLA REALTÀ”
Nelle ultime ore sono poi emerse alcune trascrizioni del processo a carico di Ciro Grillo e i suoi amici, depositate nei giorni scorsi. Emerge così la replica della ragazza a Beppe Grillo, comico e garante M5s, nonché padre di uno degli imputati, che in un video dell’aprile 2021 diffuso sul suo blog accusò la ragazza perché aveva scelto di uscire in acqua con la tavola subito dopo aver subito la violenza sessuale di gruppo. «Feci kite surf quel giorno perché avevo bisogno di staccarmi dalla realtà, da quello che era successo poco prima. Certo, non ero nelle condizioni migliori per farlo. Le gambe erano pesanti, il mio corpo non rispondeva. Ricordo che l’istruttrice mi parlava. A volte capivo, altre no. Insomma, c’ero e non c’ero», le parole riportate dalla Stampa. Risalgono alla prima deposizione, del 7 novembre scorso. In aula ha spiegato che lo sport è sempre stato per lei «un modo per liberare la mente».
Per questo ha deciso di uscire in mare per la lezione di surf: «Dovevo staccare la testa dopo quello che era successo. Volevo rimanere da sola. E quello mi è sembrato il modo migliore. La lezione era programmata così ho deciso di farla». La ragazza ai giudici ha puntualizzato anche le sue condizioni fisiche: «Mi ricordo che mi sentivo molto, molto debole. Era come se mi dissociassi con la testa. Nel senso… sapevo di essere lì… ma con la mente ero da tutt’altra parte». Ha aggiunto che era «molto agitata» e di ricordarsi che sentiva le gambe pesanti. «Il mio corpo non rispondeva. Comunque, ho provato anche se in mare facevo fatica a capire quello che mi diceva l’insegnante». Dopo la deposizione della ragazza, ci sarà spazio per i testimoni di parte civile e delle difese, poi l’esame degli imputati. Quindi, la sentenza non dovrebbe arrivare prima della fine dell’anno o addirittura all’inizio del prossimo.