Il 2020 è alle porte ed è tempo di classifica dei film migliori del 2019. È stata un’annata cinematografica eccezionale, con il ritorno di grandi autori e la consacrazione di alcuni interessanti registi, destinati a scrivere pagine importanti della storia della settima arte. È stato l’anno dell’affermazione di Netflix, con almeno tre pellicole di qualità altissima. È stato anche l’anno dell’Italia, fucina di maestri e di talenti cristallini. Non sono mancate delusioni, certamente, ma non potevamo chiedere di più. Ovviamente si tratta di una classifica che si basa sì su parametri oggettivi, ma la componente soggettiva gioca un ruolo predominante. L’obiettivo è quello di dare un’indicazione sui film da vedere e da “recuperare” al più presto, come già . Qui di seguito troverete la classifica top 40 dei migliori film del 2019: per entrare nell’elenco, un lungometraggio deve essere uscito in sala in Italia dall’1 gennaio al 31 dicembre.
CLASSIFICA FILM 2019: DAL 40° AL 31° POSTO
40) IL REGNO – Vincitore di 7 premi Goya e presentato al Torino Film Festival 2018, El Reino segna il salto di qualità di Rodrigo Sorogoyen. Il 38enne è tra i massimi rappresentanti della new wave spagnola, come confermato dall’ottimo Madre, presentato a Venezia 76. Ne Il Regno troviamo una grandissima riflessione sulla corruzione nella politica e nella società spagnola, un thriller avvincente con protagonista un uomo disperato (Antonio de la Torre), abbandonato dal sistema nel quale ha sempre creduto. Di Sorogoyen ne sentiremo parlare a lungo…
39) IL GIOCO DELLE COPPIE – Olivier Assayas con Doubles Vies firma una delle commedie migliori dell’anno, portando sul grande schermo la battaglia tra vecchio e nuovo, dal punto di vista tecnologico ma non solo. Un cast ben assortito (Vincent Macaigne e Juliette Binoche stratosferici) per una sceneggiatura lineare: si ride e si riflette, come da tradizione francese. Il cineasta francese non cade nella tentazione moralista, preferendo affidare le risposte allo spettatore. E il siparietto finale strappa applausi.
38) IL MOSTRO DI ST. PAULI – Presentato in concorso al Festival di Berlino 2019, l’ultimo film di Fatih Akin ha diviso la critica ma merita grandi complimenti. Ispirato al romanzo “The Golden Glove” dello scrittore Heinz Strunk, il film racconta la storia del serial killer di Amburgo Fritz Honka, che uccise quattro donne tra il 1970 e il 1975. Jonas Dassler sforna un’interpretazione impeccabile, degne di nota scenografia e fotografia. Sublime il commento sonoro di F.M. Einheit. Un’opera bizzarra, imprevedibile ed a tratti folle. Non mancano scene crude. Il regista de La sposa turca e di Oltre la notte non smette mai di stupire.
37) EFFETTO DOMINO – Regista di Piccola patria, Alessandro Rossetto ha acceso i riflettori sul sistema economico globale con una storia ambientata in Triveneto. Liberamente ispirato all’omonimo romanzo di Romolo Bugaro, Effetto Domino mette al centro il business della vecchiaia e la dura legge economica del “cane mangia cane”. Un racconto duro, privo di sarcasmo e tremendamente attuale. Interessante la riflessione sull’incapacità degli uomini di affrontare la morte, riflessa nell’esponenziale disfacimento dei luoghi.
36) NANCY – Premiato al Sundance Film Festival, Nancy segna il debutto al lungometraggio di Christina Choe e non si tratta di un film di passaggio. Ci troviamo di fronte a un dramma psicologico in cui niente è quello che sembra, un racconto intimo che indaga sui legami che uniscono le persone tra loro. Protagonista una straordinaria Andrea Riseborough, affiancata dal sempre ottimo Steve Buscemi. Sicuramente uno dei migliori esordi dell’anno.
35) IL PRIMO RE – Sicuramente il progetto più ambizioso made in Italy. Un anti-peplum epico e brutale ambientato nel 753 a.C., anno di fondazione di Roma: Matteo Rovere rilegge il mito di Romolo e Remo con grande realismo archeologico. Il primo re indaga il rapporto tra i due fratelli, fino al contrasto imposto dagli dei. I dialoghi – tutti in protolatino – sono ridotti al minimo e spicca la fotografia di Daniele Ciprì. Alessandro Borghi e Alessio Lapice da standing ovation.
34) LA VÉRITÉ – Film d’apertura del Festival di Venezia 2019, il primo lungometraggio di Hirokazu Kore-eda lontano dal suo Giappone è una commedia brillante che merita un’occasione. Un film sulla famiglia e sulla memoria, tra verità e menzogna. Dialoghi serrati e spassosi, con Catherine Deneuve e Juliette Binoche semplicemente perfette. Ma La vérité è anche un omaggio al cinema e alla recitazione, una lettera d’amore scritta direttamente attraverso la sceneggiatura. Un unico difetto: la colonna sonora pressochè inconsistente.
33) THE KING – Primo film targato Netflix in classifica, The King racconta le gesta e la vita del giovane e ribelle principe Enrico V d’Inghilterra, interpretato da un Timothée Chalamet in stato di grazia. David Michod osa con invenzioni creative e gira una delle sequenze migliori dell’anno a livello tecnico: parliamo della scena della battaglia di Azincourt, che vide scontrarsi le forze del Regno di Francia di Carlo VI contro quelle del Regno d’Inghilterra di Enrico V.
32) L’UOMO SENZA GRAVITÀ – Altro progetto audace e altro film Netflix. L’uomo senza gravità di Marco Bonfanti è una favola moderna dal tono leggero, una storia semplice che mira a temi complessi: Oscar, interpretato da Elio Germano, deve fare i conti con un mondo egoisti e pregno di pregiudizi dopo aver trascorso una vita intera tra l’affetto familiare. Bonfanti si conferma un regista interessante, capace di scavare nell’animo umano e regalare allo spettatore uno spaccato dei nostri giorni.
31) DIO È DONNA E SI CHIAMA PETRUNYA – In anteprima al Torino Film Festival 2019, il nuovo lungometraggio di Teona Strugar Mitevska traccia un solco nel cinema balcanico degli ultimi anni. La regista macedone trae ispirazione da una storia vera e mette nel mirino due poteri consolidati e contigui come Chiesa e Stato. Un manifesto del femminismo che non cade nella retorica, la storia di una donna come tante che non sfocia nell’agiografia. Una denuncia dell’impianto medievale che sorregge la società macedone, ma non solo…
CLASSIFICA FILM 2019: DAL 30° AL 21° POSTO
30) ORO VERDE – C’ERA UNA VOLTA IN COLOMBIA – Dopo El Abrazo de la Serpiente, Ciro Guerra e Cristina Gallego di nuovo insieme per questo interessante progetto che si muove tra documentario e finzione, sulla scia dei “nostri” Roberto Minervini e Pietro Marcello (che ritroveremo tra poco). Una semplice famiglia di agricoltori entra a far parte del mondo del commercio della droga, dovendo presto fare i conti con i risvolti del caso. Uno sguardo sul momento fondativo della lunga storia del narcotraffico colombiano, con un focus sulle forme di vita sociale e culturale. Fotografia a dir poco ammaliante, una chicca.
29) VAN GOGH – SULLA SOGLIA DELL’ETERNITÀ – Un’opera d’arte per descrivere un autore di opere d’arte: Julian Schnabel ha reso il giusto omaggio a Vincent Van Gogh con il suo At eternity’s gate, presentato a Venezia 75. Un insieme di scene ispirate ai dipinti dell’artista più che un racconto biografico, uno sguardo a tutto tondo sulla visione del mondo e della realtà del genio incompreso. Un film per tutti gli amanti della pittura, ma non solo. E poi c’è Willem Dafoe, sinonimo di garanzia.
28) US – Jordan Peele è sicuramente uno dei registi emergenti più intriganti del cinema contemporaneo e dopo l’ottimo Scappa – Get Out ecco un altro gioiellino: Us è il classico horror allegorico che strega lo spettatore, prendendolo per mano e accompagnandolo in un cammino stratificato. Peele affronta temi politici, accendendo i riflettori sulle disparità e sul divario sociale tra bianchi e neri. Con ironia e personalità, il regista riesce a tenere alta la tensione per tutta la durata del lungometraggio. Il terzo film potrebbe essere quello della consacrazione.
27) LA VITA INVISIBILE DI EURIDICE GUSMAO – Basato sull’omonimo romanzo di Martha Batalha, La vita invisibile di Eurídice Gusmão di Karim Aïnouz è uno dei migliori melodrammi degli ultimi anni. Una storia di separazione, di dolore e di emozioni: il regista brasiliano riesce a dare un tocco di modernità ad un film ambientato nella Rio de Janeiro degli anni Cinquanta, mescolando con grande abilità le componenti sensuali-carnali. Premiato come miglior film della sezione Un Certain Regard del Festival di Cannes 2019, A vida invisível colpisce per raffinatezza: colori e colonna sonora sono a dir poco estasianti.
26) THE FOREST OF LOVE – Sion Sono all’ennesima potenza. Prodotto da Netflix (e si vede), The Forest of Love è uno dei film migliori del regista giapponese da qualche anno a questa parte: dopo l’inconsistente Antoporno e la mini serie tv Tokyo Vampire Hotel, il cineasta di Toyokawa sforna un lavoro di altissima qualità: follia, gore, dolore e violenza. Uno spettacolo macabro ma magnetico, con alcune sequenze semplicemente spassose. Sono è tra i pochi in grado a unire con naturalezza nella stessa scena un elemento horror ad un elemento comico. Un altro grande autore che si conferma.
25) THE SISTERS BROTHERS – Un bel western dark con un cast di prima fattura, il film di Jacques Audiard non ha deluso le attese. Tratto dal romanzo dello scrittore canadese Patrick Dewitt, The Sisters Brothers racconta la storia dei fratelli Charlie e Eli, focalizzando l’attenzione sulla violenza e sull’uso che l’uomo ne fa. Come un western tradizionale, troviamo la voglia di riscatto del protagonista, intenzionato a prendere le redini della sua vita e ricominciare da capo. Ammaliante il commento sonoro di Alexandre Desplat, che non imita un’istituzione come Ennio Morricone ma che opta per altre strade.
24) GRAZIE A DIO – Basato sulla storia vera di un prete pedofilo avvenuta in Francia tra gli anni ottanta e novanta, Grazie a Dio di Francois Ozon è un colpo al cuore. Il regista di Frantz racconta la storia di tre vittime e lo fa senza alcun tipo di retorica. Una narrazione sincera e asciutta, impreziosita dalle interpretazioni dei protagonisti: emozioni che arrivano dritte allo spettatore e lo colpiscono con ferocia e tenerezza. Fondamentale la liberazione della parola, che assume un significato pieno nel nitido e penetrante finale.
23) KNIVES OUT – CENA CON DELITTO – Una delle sorprese della stagione, ma forse neanche tanto visti i nomi in ballo. Cena con delitto – Knives out di Rian Johnson rende omaggio ad Agatha Christie e rilegge Alfred Hitchcock, tracciando un solco nel genere mistery. Il regista di Guerre stellari: l’ultimo Jedi non lascia nulla al caso e firma una sceneggiatura più che ottima. Il cast stellare fa il resto: da Daniel Craig a Toni Collette, passando per Jamie Lee Curtis e la sorprendente Ana de Armas.
22) DOLEMITE IS MY NAME – Il ritorno del signor Eddie Murphy in un biopic spassoso che ricorda molto da vicino The disaster artist di James Franco. Diretto da Craig Brewer, il film targato Netflix ripercorre la storia di Rudy Ray Moore, definito “the Godfather of Rap” e noto per essere stato il creatore e interprete del personaggio di Dolemite, volto di una popolare serie di film blaxploitation. Il carisma di Murphy fa la differenza, con l’attore in grado di dare spessore sia alle sequenze comedy, sia alle scene drammatiche e intime.
21) IL SINDACO DEL RIONE SANITÀ – Ad un anno di distanza da Capri Revolution, Mario Martone è tornato protagonista al Festival di Venezia e lo ha fatto in grande stile: l’adattamento in chiave moderna dell’omonima opera teatrale di Eduardo De Filippo si colloca tra le pellicole più interessanti della cinematografia del regista campano e colpisce per sceneggiatura e interpretazioni. Lo spettatore riesce a riconoscere la Napoli di oggi: ci troviamo di fronte un’umanità feroce e enigmatica, allo scontro tra legalità e crimine con una zona grigia che le unisce. Si ride (tanto) e si riflette su cosa sia giusto o cosa sia sbagliato. A dir poco convincente la performance di Francesco Di Leva.
CLASSIFICA FILM 2019: DAL 20° ALL’11° POSTO
20) GREEN BOOK – Premio Oscar al miglior film del 2019, Green Book è sicuramente tra i film più apprezzabili della stagione cinematografica. Una commedia on the road che parla di razzismo e di amicizia, che prova ad abbattere i pregiudizi e riesce nel suo intento: un Peter Farrelly totalmente diverso rispetto a quello di Scemo & più scemo, aiutato da due pezzi da novanta come Mahershala Ali e Viggo Mortensen. Una storia che ci aiuta a conoscere e a riflettere, del resto sono i piccoli gesti che compiamo ogni giorno a renderci umani…
19) SUSPIRIA – Confrontarsi con un simbolo dell’horror italiano è un’impresa ardua. Luca Guadagnino lo sapeva, ma nonostante ciò ha voluto rivisitare e fare suo il Suspiria targato Dario Argento, portando a casa il risultato. Il film con Dakota Johnson è ricco di spunti che sostituiscono il simbolismo argentiniano, provocando un senso di disorientamento (positivo) nello spettatore portando sul grande schermo le molteplici interpretazioni di un incubo. Insomma, è un Guadagnino lontano parente dal regista di Melissa P…
18) I FIGLI DEL FIUME GIALLO – Jia Zhangke è certamente uno dei massimi rappresentanti della sesta generazione del cinema cinese e con Jiānghú érnǚ mette un altro tassello nella sua straordinaria carriera. Un intenso ritratto femminile che attraversa il tempo – anche in maniera autoreferenziale – riuscendo a interpretare i cambiamenti della società (ma non solo, basti pensare al passaggio da pellicola a digitale). Un’opera complessa – la tripartizione che rimanda a Mountains May Depart è solo uno dei tanti esempi – in grado di entrare dentro lo spettatore e conquistarlo. Folgorante.
17) IL CORRIERE – THE MULE – A undici anni di distanza da Gran Torino, Clint Eastwood è tornato nella doppia veste di regista-attore per Il Corriere – The Mule, film basato sulla storia vera di Leo Sharp, un veterano della guerra di Corea che divenne un corriere per il cartello di Sinaloa. Un racconto intenso in cui si mescolano etica, ideali e nostalgia, oscillando tra dramma e commedia. Dopo 37 lungometraggi (38, con l’imminente Richard Jewell), l’89enne conferma ancora una volta di non essere in grado di girare brutti film.
16) BURNING – Dopo una pausa lunga otto anni, Lee Chang-don è tornato. E non potevamo chiedere di meglio. Burning – L’amore brucia (sottotitolo ai limiti del no sense) è basato sul racconto breve “Granai incendiati” presente nella raccolta L’elefante scomparso e altri racconti di Haruki Murakami, e poche volte ci troviamo di fronte ad un’opera così enigmatica: non c’è una soluzione o almeno non ce n’è solo una. Bugie su bugie, menzogne per trovare un senso che non c’è. Meglio non andare oltre, è un film da vedere senza se e senza ma.
15) AD ASTRA – Altra pellicola presentata in anteprima a Venezia 76, Ad Astra è un thriller fantascientifico che non ha nulla da invidiare ai recenti film dedicati allo spazio e alle missioni spaziali. James Gray coniuga una dimensione intima – la storia di un padre e di un figlio – e una riflessione più ampia che coinvolge le esplorazioni spaziali e tutto ciò che sta intorno. Brad Pitt giganteggia, ma questa non è una novità. A farla da padrona è la componente tecnica, con effetti speciali che conquistano anche coloro che non amano il genere. Senza dimenticare la vibrante denuncia contro il consumismo dei giorni nostri.
14) CLIMAX – Gaspar Noè non ha certo bisogno di presentazioni, promessa doverosa. E per parlare di Climax potremmo copiare e incollare un po’ quello che dicevamo per Enter the void o Irreversible: un’esperienza potente, ai limiti della sopportazione, estremamente densa. Sesso e violenza a gogo, sequenze incantevoli alternate a scene grandguignolesche. Il classico pugno allo stomaco. Senza dimenticare i colpi di genio del regista argentino, uno su tutti l’inserimento dei titoli di coda in apertura. Lunga vita a monsieur Gaspar.
13) MIDSOMMAR – Un mondo oscuro alla luce del sole: se la premessa appare invitante, il risultato finale è semplicemente delizioso. Dopo Hereditary – Le radici del male, Ari Aster è tornato dietro la macchina da presa ed ha firmato un altro horror impregnato di terrore. L’intero percorso di Midsommar ruota attorno ad una eccellente Florence Pugh e la mano del regista newyorkese è ben visibile: un grande formalismo, scenografie mozzafiato e una capacità di giocare con la suspense fuori dal comune.
12) MARRIAGE STORY – Una storia comune a molti tra sorrisi e lacrime, gioia e rabbia, amore e odio. Storia di un matrimonio è sicuramente un ottimo film – il primo degno di tal attributo per Noah Baumbach – e poggia le sue basi su due tra i migliori attori del cinema contemporaneo come Scarlett Johansson e Adam Driver. Il punto di forza è senza ombra di dubbio la sceneggiatura, anche se non sappiamo se c’è una componente autobiografica o meno. Prezioso il lavoro sui dettagli e sui particolari. Una pellicola da vedere (preferibilmente con chi amate), ma forse in tanti hanno gridato al capolavoro senza motivo. O forse perchè non hanno visto altri film quest’anno.
11) TRAMONTO – Reduce dallo straordinario Il figlio di Saul, Laszlo Nemes si conferma con Tramonto. Dall’Olocausto passiamo all’alba del XX secolo, nel periodo che precede le guerre e il caos a livello internazionale. Anche qui troviamo la falsa soggettiva e gli innumerevoli cambi di direzione, una narrazione lineare che guida lo spettatore e lo porta con sè a livello emozionale.E ci troviamo di fronte ad una metafora ambiziosa e allo stesso tempo straordinaria: Irisz, la protagonista interpretata da Juli Jakab, rappresenta l’Europa di inizio Novecento e attraverso la sua storia Nemes intende rileggere anche i giorni nostri…
CLASSIFICA FILM 2019: LA TOP TEN
10) MARTIN EDEN – Come promesso, ecco l’appuntamento con Pietro Marcello. Il regista casertano è uno degli astri nascenti del cinema italiano e qui ha fatto il grande salto. Liberamente tratto dall’omonimo romanzo del 1909 scritto da Jack London, Martin Eden è un film popolare e politico, una sorta di fiaba sulla lotta di classe e sulla cultura di massa. Audace ed emozionante. Più semplicemente, originale: in pochi avrebbero avuto il coraggio di ambientare la narrazione a Napoli, inserendo materiale d’archivio in stile documentaristico senza approdare nel caos. E c’è tutto il suo modo di vedere la settima arte, compresi i riferimenti ai suoi precedenti La bocca del lupo e Bella e perduta. Ah, poi c’è Luca Marinelli: clamoroso.
9) VICE – Forse solo Adam McKay avrebbe potuto firmare un biopic su un uomo controverso come Dick Cheney, vice-presidente Usa durante l’amministrazione di George W. Bush. La storia “dell’uomo nell’ombra” interpretato da Christian Bale – ormai non ha neanche più senso mettere in risalto la sua bravura, è scontato – inizia durante l’amministrazione Nixon e arriva all’attentato dell’11 dicembre 2001, una figura discussa che ha avuto il potere dell’America tra le mani e non mirava ad altro. Il regista de La grande scommessa abbonda con la satira e dal punto di vista stilistico si rifa al lavoro precedente. Sublime.
8) LA MAFIA NON È PIÙ QUELLA DI UNA VOLTA – Franco Maresco. Basterebbero nome e cognome per motivare l’ottavo posto de La mafia non è più quella di una volta. A cinque anni da Belluscone – Una storia siciliana, il regista torna nella sua Palermo e, attraverso Letizia Battaglia, indaga sull’assenza di memoria nei confronti di due simboli della legalità come Falcone e Borsellino. Immancabile Ciccio Mira, organizzatore di concerti legali e illegali, come lui stesso ammette. Ovviamente non è un lavoro innocuo, come tutta la sua filmografia non è: ha fatto parecchio discutere l’attacco velato (ma neanche troppo) a Sergio Mattarella. Ma Maresco è questo, prendere o lasciare. Noi prendiamo, assolutamente. Un unico difetto: attendere cinque anni un suo film è straziante.
7) IL TRADITORE – Marco Bellocchio è uno dei grandi maestri del cinema italiano ma, se possibile, questa volta si è superato. Il regista di Bobbio ha girato un vero e proprio kolossal sulla figura di Tommaso Buscetta, interpretato da un Francesco Favino magistrale. Vendette e tradimenti, verità e bugie, incubi e amore: don Masino è raccontato da una prospettiva inedita. Una grande operazione stilistica: la mafia come un grande teatro, don Masino come un personaggio tragico shakespeariano. Il traditore è un film di testa, animo e stile di estrema giovinezza, nonostante gli 80 anni del suo autore. E ci ripetiamo: lunga vita a Marco Bellocchio.
6) THE IRISHMAN – Adattamento cinematografico del saggio del 2004 L’irlandese. Ho ucciso Jimmy Hoffa (I Heard You Paint Houses) scritto da Charles Brandt, The Irishman è semplicemente un’epopea gangster intima e atrabile. Targato Netflix, il nuovo film di Martin Scorsese rimarrà nella memoria collettiva e non solo per il cast da urlo (Robert De Niro, Al Pacino e un intramontabile Joe Pesci). Tre ore e mezza in cui troviamo la vita di un uomo, di un’epoca e di parte della storia americana (grande merito alla sceneggiatura di Steven Zaillian). E comunque andrebbe guardato anche solo per la regia di Scorsese, da studiare a memoria per ogni studente delle scuole di cinema. Maestro.
5) ONCE UPON A TIME IN HOLLYWOOD – La chiusura del breve commento di The Irishman vale anche in questo caso (e nel prossimo). Quentin Tarantino con C’era una volta a… Hollywood ha firmato il suo racconto più intimo in un’ode al cinema, un romanticismo rivisitato che spiazza ma conquista. Come in Bastardi senza gloria, il cineasta di Knoxville manipola la storia e la reinventa, cambia il corso delle cose e offre un destino diverso. Seppur ridimensionata, ovviamente non manca la componente pulp. Ed è anche difficile toppare con un cast che comprende tra gli altri Leonardo DiCaprio, Brad Pitt, Margot Robbie, Al Pacino e Margaret Qualley.
4) J’ACCUSE – L’aver rischiato di non poter ammirare un capolavoro di tale portata per mancanza di produttori è straziante, tafazzismo allo stato puro. Fortunatamente, Roman Polanski è riuscito a ultima L’ufficiale e la spia e tutti noi amanti del cinema non possiamo che dirgli grazie. L’86enne ha acceso i riflettori sul cosiddetto affare Dreyfus, il maggior conflitto politico e sociale della Terza Repubblica francese, firmando una ricostruzione storica estasiante. Ogni scena come un quadro, ogni dettaglio deve essere perfetto. E l’equazione Dreyfus-Polanski non è così campata per aria. E il riferimento non è legato al fatto che anche Polanski sia ebreo. Perfezione, chapeau.
3) LA FAVORITA – Per scavalcare Scorsese, Tarantino e Polanski ce ne vuole. Ma Yorgos Lanthimos ha tutte le carte in regola per vantare tra trent’anno la stessa statura e considerazione dei registi appena citati. La Favorita traccia un solco e forse tutti si renderanno conto della sua straordinarietà tra qualche tempo. Commedia, dramma, surrealismo, sesso, sentimenti e danza (che vale da sola il prezzo del biglietto): il film con Olivia Colman, Emma Stone e Rachel Weisz è un mix di generi e di emozioni. Impossibile non citare regia e fotografia (coloro che sanno utilizzare il fish eye si possono contare sulle dita di una mano). Provocazione e non iperbole: Kubrick non è così lontano.
2) EX AEQUO PARASITE / WHAT YOU GONNA DO WHEN THE WORLD’S ON FIRE? / JOKER / DOLOR Y GLORIA – A volte è seriamente difficile scegliere quale sia il film migliore in una rosa di pellicole di qualità assoluta ma totalmente distanti l’una dall’altra per genere e non solo. Nei casi di equilibrio pressochè stabile, l’ex aequo è una manna dal cielo. Parasite è la consacrazione di Bong Joon Ho, una storia di disuguaglianza sociale nella società coreana che possiamo allargare al resto del mondo. Un mix di generi che comprende la commedia nera, il dramma e il thriller. O, citando Bong Joon Ho, “una commedia senza clown, una tragedia senza cattivi”. Al secondo posto troviamo anche Roberto Minervini con What you gonna do when the world’s on fire? un documentario che nasce dalle ceneri dalla trilogia sul Texas e che accende i riflettori sulla diatriba razziale negli Usa, un razzismo che non se n’è mai andato, ma che ha maggiore visibilità da qualche tempo a questa parte. Cinema verità, cinema vita: un film necessario. Ovviamente Joker non può mancare: tra Taxi Driver e Network, Todd Phillips scrive una pagina nuova della storia dei cinecomic e lo fa anche grazie a un Joaquin Phoenix meraviglioso e commovente (se non vincerà il premio Oscar al miglior attore ci ritroveremo di fronte a una vicenda da Ufficio inchieste, ndr). E, come se non bastasse, troviamo una riflessione amara sulla società americana che lascia il segno. Infine, un altro grande autore che non smette di stupirci: parliamo di Pedro Almodovar e del suo Dolor y Gloria. Il regista spagnolo torna alle vette di Volver e si mette a nudo con un racconto profondamente autobiografico, contemporaneamente universale. Interpretazione della vita per Antonio Banderas, che sta ad Almodovar come Mastroianni stava a Fellini. E ogni riferimento a 8½ non è puramente casuale.
1) LA CASA DI JACK – Lars von Trier. Sì, il folle regista danese e la sua ultima fatica al primo posto di questa classifica dei migliori film del 2019. Un capolavoro puro. La casa di Jack è ben più di un racconto di un serial killer malvagio e intento a fare dei suoi omicidi delle opere arte. Ci troviamo di fronte alla summa del cinema di von Trier: episodico come Nymphomaniac, cupo e analitico come Antichrist, intenso come Dancer in the Dark o Le onde del destino, senza dimenticare la Katabasis che sa tanto di Melanchonia. In Jack è riflesso Lars, gli omicidi sono delle opere d’arte come i film: non è un caso che nel corso di una conversazione tra il killer e Verge sulla violenza appaiono dei frame delle sue pellicole (L’elemento del crimine, Europa, Il regno e Dogville tra gli altri). Nessun autocitazionismo superbo ma la proiezione del regista sul protagonista. Von Trier vuole costruire la sua arte come Jack vuole costruire la sua casa. E noi ci auguriamo un’unica cosa, che questo non sia un film testamento. Perchè noi (e il cinema) abbiamo bisogno del genio danese.