Il 22 aprile, su RAI5, è arrivato il debutto di Pelléas et Mélisande coprodotta dal Teatro Regio di Parma, dal Teatro Comunale di Modena e dai Teatri di Piacenza. La produzione era molto attesa sia perché l’opera viene messa in scena raramente sia perché era stata inizialmente programmata per il marzo 2020 come evento per celebrare Parma come capitale annuale della cultura ma venne sospesa a ragione del lockdown. Si potrà vedere ed ascoltare per mesi su www.raiplay.it
La produzione è firmata per la regia, le scene e i costumi dal team creativo franco-canadese Barbe&Doucet, con le luci di Guy Simard. Marco Angius è sul podio dell’Orchestra dell’Emilia-Romagna Arturo Toscanini e del Coro del Teatro Regio di Parma, preparato da Martino Faggiani. Gli interpreti sono Monica Bacelli (Mélisande), Philip Addis, (Pelléas), Michael Bachtadze (Golaud), Vincent Le Texier (Arkël), Enkelejda Shkoza (Geneviève), Silvia Frigato (Yniold), Andrea Pellegrini (Pastore, Medico).
Pelléas et Mélisande” di Claude Debussy è uno dei capolavori assoluti del teatro musicale. Il lavoro in cinque atti e dodici quadri debuttò a Parigi nel 1902 alla Opéra Comique dopo dieci anni di faticose trattative con l’autore del testo in prosa (il simbolista belga Maurice Maeterlinck) ed una ancora più laboriosa composizione, divenne presto l’emblema del “nuovo” (l’intuizionismo di Bergson, l’estetica di Baudelaire, Verlaine e Mallarmè) rispetto al “vecchio” (la magniloquente drammaturgia in musica sia wagneriana sia verista). Eppure il lirismo misterioso, morbido e indefinito di “Pelléas et Mélisande” è la continuazione più diretta dell’estetica e della poetica di Wagner e si contrappone nettamente al “verismo” che, proprio in quegli anni, stava prendendo piede: l’onere musicale è affidato all’orchestra che deve supportare voci in grado di fare comprendere ciascuna parola, in prosa ed in un francese arcaico. Le dodici scene sono brevi e spetta all’orchestra portare lo spettatore da un ambiente all’altro e da un clima psicologico all’altro.
Negli ultimi trenta anni si è vista ed ascoltata due volte al Teatro dell’Opera di Roma (una volta in una produzione del festival di Spoleto ed una volta coprodotta con il Teatro La Monnaie di Bruxelles), una volta alla Scala (in una produzione dell’Opéra Comique di Parigi) ed una volta al Maggio Musicale Fiorentino. In questa produzione “emiliana” è una delle rare occasioni di ascoltare il lavoro come lo concepì Debussy, ossia senza gli interludi aggiunti su richiesta dell’Opéra Comique di Parigi per facilitare i numerosi cambi-scena in un lavoro che comporta cinque atti e dodici quadri. Sono interludi molto belli ma rallentano l’azione e danno proporzioni davvero wagneriane al lavoro: ben oltre due ore e quarantacinque minuti di musica. Nell’edizione presentata alla Scala, nonostante ci fosse un unico intervallo, la serata sfiorava le quattro ore. L’eliminazione dei cambi-scena e, quindi, degli interludi, è stata possibile – ed è questa la seconda novità – puntando su una scena unica di grande suggestione.
Questi i punti chiave della trama. In un opaco Medioevo bretone, il principe Golaud, vedovo ancor giovane, incontra in una foresta la giovanissima Mélisande, la sposa e la porta al castello dove vive anche il fratellastro adolescente Pelléas. Nella noia della tetra magione, tra la fanciulla e il ragazzo inizia un gioco che si trasforma prima in scoperta erotica, poi in passione e infine in amore. Sino al tragico finale in cui un fratello uccide l’altro e anche la fanciulla perisce, dopo avere dato alla luce una bambina. Maeterlinck, autore del dramma, è stato il caposcuola del simbolismo: la bambina e “l’anima umana che ama andarsene da sola” (le ultime parole di Mélisande) rappresentano la speranza pure in un mondo tetro come quello di Golaud e Pelléas. Più importante della vicenda, in cui tutto è detto “a metà”, è l’atmosfera: palazzi opprimenti, foreste dense e scure, canali brumosi, grotte umide, acque stagnanti, paludi malsane, sotterranei lugubri, saloni in rovina, torri semidistrutte. Solo alla fine, un barlume di speranza. La musica si articola in circa 16 raffinati liet-motif (chiara derivazione dalla lezione di Wagner) che si incrociano in vari modi nella complessa partitura.
La regia di Barbe&Doucet, molto attesa, è abbastanza tradizionale e concepita per rappresentazioni teatrali piuttosto che per il mezzo televisivo (come fatto per recenti spettacoli a Roma, Palermo, Napoli e Catania). La vicenda è collocata tra un Medioevo preraffaellita e la trasposizione a inizio Novecento, quando Maeterlinck e Debussy concepirono il lavoro. Molto accento su acqua ed acquitrini, ben più del necessario.
Puntuale la direzione orchestrale di Marcus Angius. E’ questione di preferenze; al vostro chroniqueur piace di più una lettura come quella di Pierre Boulez in un’importante edizione discografica o quella di Gianluigi Gelmetti circa quindici anni fa a Roma: tempi stretti, non dilatati, in modo da aumentare la tensione.
Buone le voci. Monica Bacelli è da anni la specialista del ruolo. Il suo Pelléas è il giovane tenore Philip Addis: ha la prestanza del ruolo ma non concordo con la scelta do affidare la parte ad un tenore lirico invece che ad un baritono leggero (quale Rod Gilfry Bernard Richter Ludovic Tézier) come previsto da Debussy – proprio per contrapporla ad un baritono scuro nel ruolo Golaud (un ottimo Michael Bachtadze). Inoltre, un baritono leggero duetta meglio con un mezzosoprano (la Bacelli/Mélisande), specialmente nella grande scena d’amore del quarto atto. Un errore del genere è stato fatto al Maggio Fiorentino in cui Paolo Fanale duettava con Monica Bacelli: perché ripeterlo? Tra gli altri spicca Silvia Frigato nel ruolo di Yniold.
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