Operazione massiccia dei Nas contro il traffico di sostanze stupefacenti tra cui la droga dello stupro. A finire in manette al termine delle indagini condotte dal procuratore aggiunto di Roma Giovanni Conzo sono 39 persone, accusate a vario titolo di importazione e cessione di sostanze stupefacenti. Tra queste spicca il nome di Claudia Rivelli, sorella di Ornella Muti, che in precedenza a settembre era stata arrestata con le stesse accuse. La donna, 71 anni, è stata raggiunta dalla misura cautelare dei domiciliari.



In occasione del primo fermo in casa di Claudia Rivelli erano stati trovati dagli agenti della Polaria tre flaconi con un litro di sostanza Gbl, la cosiddetta droga dello stupro. In quella situazione la 71enne si era difesa affermando di avere inviato la sostanza al figlio che vive a Londra “perché lui la usa per pulire l’auto” mentre lei la utilizza per “lucidare l’argenteria”. Secondo le accuse Rivelli avrebbe importato “illecitamente dall’Olanda, con cadenze trimestrali, vari flaconi di Gbl provvedendo a inviarne parte al figlio residente a Londra dopo averne sostituito confezione ed etichetta riportante indicazione “shampoo” in modo da trarre in inganno la dogana”.



Claudia Rivelli: droga e chat sospette col figlio

Il nome di Claudia Rivelli, sorella di Ornella Muti, spicca più degli altri nei trentanove arresti disposti nell’ambito della maxi operazione dei carabinieri del Nas per vari reati come autoriciclaggio, importazione e traffico aggravati di fentanyl, catinoni sintetici e altri principi farmacologici acquistati sul deep e sul dark web. I carabinieri hanno individuato nella Capitale il laboratorio più importante per il traffico della GBL in Europa, Stati Uniti e Canada.

Nelle mani degli inquirenti, secondo quanto riferito dal Corriere della Sera, ci sarebbero anche delle chat sospette tra Claudia Rivelli e il figlio. “cla” si legge in una conversazione. Ma anche “Fammi sapere notizie mano a mano, se no mi agito troppo fino a giovedì”. Contenuti dei messaggi che ha lasciato perplessi gli inquirenti. Il gip ha quindi affermato: “Il tenore delle chat e la circostanza che l’indagata camuffasse il reale contenuto delle spedizioni appaiono elementi oggettivamente indicativi della piena consapevolezza e della volontà di quest’ultima di realizzare condotte penalmente rilevanti, ponendosi quale schermo per agevolare il figlio nell’importazione di sostanza nel Regno Unito dove è considerata illegale al pari dell’Italia, in tal modo riuscendo ad aggirare i controlli doganali”.