Niente sconti dalla Cassazione: Claudio Pinti deve scontare 16 anni e 8 mesi di carcere per omicidio volontario e lesioni personali gravissime. Il ricorso presentato dalla difesa del 38enne di Montecarotto (Ancona), il quale aveva consapevolmente contagiato con l’Hiv l’ex compagna Giovanna Gorini, morta nel 2017, e l’ex fidanzata Romina Scaloni, è stato rigettato dalla Suprema Corte. La sentenza, dunque, è irrevocabile. Pinti sapeva di essere sieropositivo, ma continuava ad avere rapporti sessuali non protetti. Negli anni con il suo comportamento spregiudicato e a tratti negazionista, avrebbe esposto al rischio di contagio ben 228 persone. Per questo è chiamato “untore Hiv seriale”.
La sua scia si è interrotta il 12 giugno 2018 dopo la denuncia depositata da Romina Scaloni. Il processo ha poi portato alla condanna di Pinti. L’accusa di omicidio è legata alla morte nel 2017 proprio a causa di una patologia legata all’Hiv dell’ex compagna, da cui aveva avuto una figlia. Dopo la condanna in primo e secondo grado, Claudio Pinti aveva deciso di ricorrere in Cassazione.
“RICORSO CORTE EUROPEA? LO VALUTIAMO”
L’avvocato Massimo Rao Camemi, che rappresenta Claudio Pinti, aveva chiesto alla Cassazione «la nullità del processo, l’annullamento del reato di omicidio contestato e la rivalutazione in termini di colpa e non di dolo». Il 10 settembre i giudici della Suprema Corte si erano presi tre mesi di tempo, appellandosi all’articolo 615 del codice di procedura penale, rinviando quindi il giudizio a dopo una discussione «per la molteplicità o per l’importanza delle questioni da decidere». Ora arriva la decisione sul ricorso, che è stato quindi rigettato.
Il legale, che ha sentito il suo assistito (detenuto nel carcere di Montacuto) dopo aver appreso la sentenza, ha espresso al Corriere della Sera la sua delusione: «La sentenza non ci è favorevole, non è quello che ci aspettavamo. Quando avremo le motivazioni del giudice potremo commentarla. Ho sentito Pinti, è incredulo. Ritenevamo fondato il nostro ricorso». Questa sentenza, dunque, rende definitiva la condanna a 16 anni e 8 mesi. La vicenda processuale è conclusa, ma la difesa di Claudio Pinti non esclude un ricorso alla Corte europea: «Lo stiamo valutando, ma prima vogliamo leggere le motivazioni e il ragionamento della Corte di Cassazione», ha anticipato Rao Camemi.