Così come l’Intelligenza artificiale ha aperto una nuova stagione di interrogativi etici inaugurando il filone dell’algoretica, anche nel campo delle tecnologie climatiche le emergenti soluzioni di gestione delle radiazioni solari stanno sollevando pressanti dubbi morali oltreché politici. Tanto che alla COP28 è stato presentato il rapporto dell’Unesco sull’argomento.
In considerazione delle immense promesse e dei rischi significativi legati agli interventi di riflessione della luce solare verso lo spazio, iniettando, per esempio, aerosol nell’atmosfera, si delinea una prospettiva etica globale dell’ingegneria climatica. Tanto più che c’è il potenziale rischio di una loro strumentalizzazione geopolitica per servire interessi militari piuttosto che obiettivi climatici. Il ricorso a misure di geoingegneria potrebbe essere, per esempio, sfruttato per provocare aridità o allagare un territorio nemico.
In questi ultimi 10 anni si sono moltiplicati gli esperimenti di geoingegneria. Più di 50 Paesi hanno in corso dei programmi per disperdere la nebbia, aumentare le piogge e la neve, eliminare la grandine. La Russia è ricorsa all’inseminazione delle nuvole per assicurarsi cieli limpidi sopra Mosca per le celebrazioni del 1° maggio 2016. Lo stesso ha fatto la Cina per le Olimpiadi di Pechino. Quest’ultima è particolarmente attiva nella manipolazione del meteo mediante progetti che stimolano particelle di pioggia sparando onde acustiche a bassa frequenza e intensità per sollecitare il corpo della nuvola facendolo vibrare. Questi test sono state condotti a porte chiuse e senza concertazione con la comunità internazionale
L’elevata imprecisione dell’impatto sul clima e l’incertezza sulle conseguenze involontarie rendono le manovre sul termostato del pianeta tanto allettanti quanto allarmanti. Sono stati avanzati diversi suggerimenti più creativi: dagli specchi spaziali per dirottare il riflesso solare al rilascio di ferro negli oceani per incentivare la crescita di fitoplancton che assorbe CO2.
L’emergenza ambientale ci impone di considerare tutte le opzioni a disposizione. Sin dal 2013 la geoingegneria viene contemplata nei vari rapporti dell’Ipcc, il Panel intergovernativo sul cambiamento climatico. La sintesi del 2021 stima con più accuratezza le precipitazioni piovose e nevose indotte dalla geoingegneria.
Proprio per la mancanza di prove scientifiche convincenti dell’efficacia dei tentativi, la scorsa primavera, oltre cento scienziati internazionali si sono mobilitati per chiedere di accelerare la ricerca nella geoingegneria. Alla base della disciplina un’idea del Premio Nobel Paul Crutzen. Lo scienziato statunitense è stato appunto premiato per i suoi lavori sulla chimica dell’atmosfera nel 1995 in cui studiò le conseguenze sulle temperature globali dell’eruzione del vulcano Pinatubo nelle Filippine che si risvegliò 4 anni prima dopo 500 di inattività.
La formidabile esplosione – la più catastrofica del XX secolo – aveva scaraventato nell’alta atmosfera una tale quantità di solfati da creare una specie di schermatura alle radiazioni solari provocando l’anno successivo un calo di 0,6 gradi delle temperature medie. Da lì l’idea di imitare gli effetti dell’eruzione polverizzando nella stratosfera milioni di tonnellate di zolfo per ottenere l’esito di raffreddamento. Le stime che circolano suggeriscono che sarebbe sufficiente riprodurre ogni anno un quarto dell’eruzione del vulcano Pinatubo per bloccare il 2% dei raggi solari.
Sebbene la riduzione delle emissioni con sistemi più tradizionali sia fondamentale, senza l’apporto della geoingegneria e dei sistemi di cattura e sequestro del carbonio nel mix degli interventi climatici è sempre più improbabile contenere le temperature medie globali sotto i 2°. Superare il tabù dell’ingegneria climatica è quindi un passaggio obbligato, non senza però definire chiaramente un quadro etico.
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