Peter Frankopan, storico con due cattedre nelle prestigiose università di Oxford e Cambridge, ha parlato del clima nel suo ultimo libro, Tra la terra e il cielo, e sulle pagine del Giornale, analizzandolo attraverso un’ottica storica per sfatare la percezione che i cambiamenti climatici siano necessariamente dannosi. “Gli scienziati”, spiega, “parlano di una sesta estinzione di massa e volevo capire come siamo arrivati a questo punto”.



Secondo quanto ha potuto ricostruire, differentemente, il clima in passato ha rappresentato anche delle ottime occasioni, delle quali “gli umani sono stati i grandi beneficiari”. Il più grande sconvolgimento che si registrò, infatti, fu una prima ondata di riscaldamento globale 11.700 anni fa, “la data che segna l’inizio dell’Olocene, innescata dall’interazione naturale tra i complessi sistemi climatici del pianeta e la rotazione dell’inclinazione dell’asse terrestre”. Il clima mutò e, spiega, “le temperature sarebbero salite di dieci gradi in 60 anni”, ma per quanto potrebbe sembrare un problema, in realtà “ha portato con sé numerose opportunità: il deserto del Sahara si è trasformato in una savana erbosa e le prima comunità sono sorte nella Mezzaluna fertile, lungo il Nilo, l’Indo e lo Yangtze”, dando il via alla nuova era dell’agricoltura.



Frankopan: “Il clima può essere uno stimolo ai cambiamenti sociali”

Complessivamente, tuttavia, Frankopan ci tiene a specificare che il clima di per sé non basta condizionare la storia umana, perché “un impero non crolla perché ha piovuto troppo, o troppo poco. È una questione di sollecitazioni e di sconvolgimenti che, a volta, sono stati di tipo ambientale”. Gli sconvolgimenti di tipo ambientale e climatico, infatti, “ne producono altri a livello economico, sociale, politico e anche epidemiologico“.

Delle tendenze sociali, però, possono essere collegate al clima e ai suoi cambiamenti, come per esempio il fatto che “quando il cibo scarseggia, i prezzi salgono e si crea della confusione. E si cercano delle persone a cui attribuire la colpa”. Tutto questo, però, non è una novità della nostra era, perché Frankopan ci tiene a porre l’accento sul fatto che “gli antichi greci e i romani si preoccupavano non solo del fatto che lo sfruttamento della natura non fosse sostenibile, ma che mutasse il clima, soprattutto la frequenza delle piogge. I nostri antenati non erano ingenui: vedevano già coi loro occhi quali fossero i pericoli del comportamento umano, quando la natura è sfruttata in eccesso”.