Il “Friday for future” italiano ha avuto un successo clamoroso e ha ricevuto il plauso persino di Greta Thunberg; questo nonostante la benedizione del presidente del Consiglio, l’incoraggiamento del ministro dell’Istruzione e il tifo dei principali media italiani. Mai si era vista una tale reazione del “sistema”. Gli studenti hanno manifestato per chiedere che vengano messi in atto, qui e ora, comportamenti e prassi più rispettosi dell’ambiente per salvare la Terra. Nel frattempo circolano sondaggi secondo cui gli italiani sarebbero comunque disposti a “pagare di più” pur di salvare il pianeta.



Su questo “pagare di più” forse varrebbe la pena spendere qualche parola. Pensiamo a uno dei pochi esempi che già abbiamo di cosa voglia dire passare, qui e ora, a comportamenti più responsabili. Saranno centinaia di migliaia le persone che hanno cambiato e dovranno cambiare a breve una macchina che va benissimo ma che “inquina”. Gli incentivi al cambiamento sono stati ridicoli e il prezzo delle macchine “che non inquinano” è di gran lunga superiore a quelle normali. Quello a cui abbiamo assistito è stato più o meno questo; persone dai redditi medi in giù hanno dovuto pagare molte migliaia di euro che avrebbero potuto tranquillamente non pagare per macchine di vecchia generazione, visto che nell’industria auto nessuno sa ancora veramente quale modello “non inquinante” uscirà vincente da questa fase: l’elettrico puro, l’ibrido (con diesel o benzina), il metano, il gas o l’idrogeno. Stiamo correndo a comprare macchine che sono già vecchie. In compenso i “ricchi” hanno ottenuto uno sconto su macchine costose e nuove.



Questo cambiamento qui e ora non ha potuto soffermarsi particolarmente su inezie di piccolo cabotaggio. Per esempio, uno che usa la Duna del nonno per andare a fare la spesa una volta alla settimana deve cambiare la macchina come uno che va a Cortina tutti i week-end. Ma il mondo sta per finire, quindi non si può andare troppo per il sottile.

Ora immaginate che questo paradigma venga applicato, qui e ora, su scala. Dalle bottiglie di plastica, alla bolletta della luce e così via. Chi paga il conto? Perché l’acqua nella bottiglia biodegradabile costa un multiplo di quella nella plastica normale. Ci rendiamo conto che parlare di poveri e ricchi non è più di moda, però il costo del “salvataggio del pianeta” cadrà inevitabilmente e inesorabilmente sulla gente normale, mentre i ricchi neanche se ne accorgeranno.



Pensiamo ancora a cosa sia piovuto, in termini di costi aziendali, sulla testa dei produttori di auto e moltiplichiamolo a tutti i settori. Aziende che, presumibilmente, vorrebbero sopravvivere e che da qualche parte devono scaricare costi e investimenti. Speriamo che il costo del debito rimanga basso ancora per un sacco di tempo, perché per finanziare questo enorme moltiplicatore di domanda in una fase economica “complicata” bisognerà stringere la cinghia e fare il mutuo. Scordatevi che qualcuno rinunci al suo bonus o al suo dividendo. Sperando che serva. Il che non è detto, visto che nessuno sa ancora come riciclare una batteria elettrica piena zeppa di “chimica” e nessuno, almeno in Italia, è disposto a contemplare quello che sarebbe il complemento naturale delle rinnovabili e cioè il nucleare.

Facciamo oltretutto presente che qualunque Stato abbia tutelato efficacemente il suo sistema industriale, dalla Cina alla Germania, si è nei fatti ben guardato da “rivoluzioni verdi” al buio che avrebbero messo fuori gioco le imprese in un mondo globalizzato. Sono mitiche le “scadenze” tedesche, per esempio sul carbone, rinviate praticamente sine die. Quando leggiamo di “Italia leader nella trasformazione energetica” ci vengono i brividi. Ci manca solo che un Paese con un debito su Pil al 135% e la disoccupazione al 10% obblighi le sue aziende a farsi carico del “costo del pioniere”, al buio e senza certezze. In un contesto in cui, ripetiamo, nessuno sa ancora esattamente dove andrà a parare la “rivoluzione verde”.