Chi ha avuto la fortuna di passare da Londra negli ultimi anni non può non aver notato un grande cambiamento. Fino al primo decennio degli anni 2000 l’inquinamento dell’aria era ancora alto, anche se le politiche pubbliche avevano gradualmente impostato un progressivo controllo e una più rigida politica di gestione degli impianti di riscaldamento. Si era fatto molto, ma ancora troppo poco e progressivamente si perdevano nella memoria i giorni del “Great Smog of London”, quel periodo del 1952 in cui una combinazione di nebbia densa e inquinamento industriale si accumulò sull’area urbana, causando una situazione di grande inquinamento atmosferico con la morte di migliaia di persone.



Anche se quell’evento ha avuto un ruolo importante nell’aumento della consapevolezza sulla necessità di varare politiche per l’ambiente, la vera svolta è avvenuta solo negli anni scorsi quando ha rischiato di presentarsi lo stesso drammatico problema anche per le improvvide politiche di sindaci come Boris Johnson che avevano posizioni al limite del negazionismo climatico.



È stata l’elezione nel 2016 a sindaco di Sadiq Khan, politico laburista, musulmano, di origine pakistane, a dare un impulso decisivo alla politica per migliorare la qualità dell’aria nella capitale inglese. E lo ha fatto sulla base della propria esperienza personale, per le difficoltà respiratorie riscontrate dopo gli allenamenti per una maratona a cui peraltro ha partecipato con un buon risultato.

Rieletto nel 2021 con il più alto numero di consensi mai registrati per la sua carica, Kahn ha deciso di raccontare la sua esperienza politica, e in particolare i suoi grandi risultati sul fronte del contrasto all’inquinamento, in un libro con un titolo molto significativo: Respirare. Fermiamo insieme l’emergenza climatica (Egea, traduzione a cura di Marianna Grimaldi, 2023). Un libro tutto basato sull’esperienza personale, quasi una confessione di un politico che ammette di aver sottovalutato per anni le conseguenze dell’inquinamento pensando che in fondo il problema fosse da una parte irrisolvibile e dall’altra che comunque competesse ad altri. I capitoli del libro esprimono con grande evidenza la battaglia condotta da Khan contro i modi di pensare largamente diffusi tra la popolazione, altrettanti ostacoli che è stato necessario superare non solo come battaglia esterna, ma anche come convinzione personale.



Si parte affrontando il fatalismo, si incontra l’apatia, ci si confronta con il cinismo, si combatte con chi non considera prioritario il problema, si fa di tutto per vincere una diffusa ostilità, si trovano i mezzi per finanziare gli interventi, si lotta per evitare ogni stallo nell’impegno politico e di gestione.

“L’unico modo per invertire la tendenza sul clima – scrive Khan – era dimostrare che il cambiamento climatico non era solo un fenomeno distante. Riguardava tutti i londinesi, tutti i giorni. E colpiva in maniera sproporzionata i membri più svantaggiati della nostra comunità. La situazione peggiorava a ogni singolo veicolo inquinante che attraversava Londra”.

Le misure attuate non sono state né facili, né immediate, ma hanno ottenuto significativi risultati. Londra ha introdotto, per prima al mondo, la Ultra Low Emission Zone (una zona a emissioni ultra-basse, in cui chi guida i veicoli più inquinanti deve pagare una tassa) che ha quasi dimezzato l’inquinamento atmosferico nel centro. Sono stati inoltre piantati 440mila alberi, si è estesa fino alle periferie la rete delle piste ciclabili, si è realizzata la più grande flotta di autobus a emissioni zero d’Europa. La City è stata proclamata “Città parco nazionale”.

Un cammino difficile quello del sindaco di Londra, che peraltro è presidente del C40, una rete globale di quasi cento megalopoli accomunate dall’ambizione di combattere il cambiamento climatico. Ma tutto lascia credere che sia un cammino nella direzione giusta. Con la consapevolezza, come afferma Khan nel finale del libro che “siamo ancora solo alle pendici della montagna che dobbiamo scalare”.

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