Un’azione legale ambientale per scuotere il governo italiano sul clima. Un gruppo di 203 soggetti tra associazioni e cittadini, coordinati dalla onlus A Sud, ha citato in giudizio l’Italia per la sua lentezza nell’intervenire sulla crisi climatica. Ci sono i Fridays for future, la Società meteorologica italiana guidata da Luca Mercalli e pure 17 minorenni. Ne parla il quotidiano Domani, spiegando che la causa è stata presentata al tribunale civile di Roma. Lo Stato italiano dovrà costituirsi in giudizio con l’avvocatura generale. La prima udienza è fissata per il 4 novembre. Non si tratta, dunque, di un’iniziativa simbolica, ma un attacco giuridico e politico alle istituzioni su cui si lavorava da tre anni. Niente finora è cambiato, neppure con il Pnrr di Mario Draghi. Anzi, il piano green del governo è il più “timido” d’Europa. Per Giudizio Universale (questo il nome dell’iniziativa), le istituzioni italiane continuano a tirarsi indietro. Dunque, si segue il modello olandese e tedesco.



La fondazione Urgenda, che aveva promosso la causa in Olanda, ha fatto da “tutor” all’iniziativa italiana. È stato il primo paese arrivato a sentenza in una causa di questo tipo. E ha avuto ragione. Così come l’hanno avuta i cittadini tedeschi secondo cui la legge sul clima del governo violava i diritti delle generazioni future, costringendo di fatto la cancelliera Angela Merkel a intervenire con una nuova legge.



CAUSA CONTRO STATO ITALIANO “TAGLI EMISSIONI RADICALI”

Con questa causa ambientale non si vuole ottenere un risarcimento. Si chiede al giudice di dichiarare lo Stato italiano inadempiente sul clima e di imporgli una riduzione delle emissioni più radicale di quella in atto. Stando a quanto riportato da Domani, l’obiettivo è ottenere un taglio del 92% rispetto ai livelli del 1990, da raggiungere entro il 2030. Il problema, però, è che la giustizia italiana è lenta. “Ci aspettiamo che il giudizio in primo grado termini dopo due o tre anni, altri due se viene fatto appello, il ricorso per Cassazione può prendersi fino a quattro anni”, ha dichiarato Luca Saltalamacchia, avvocato del team legale di tale iniziativa. Quindi, si rischia di arrivare ad una sentenza definitiva non prima del 2028, a due anni dalla soglia del 2030. La sensazione è che questa causa ambientale sia più utile come strumento per mettere pressione al governo.



Tra i firmatari dell’azione legale non c’è Greenpeace, che ha scelto una strada diversa ma esprime vicinanza. “In Italia la politica dipende da alcune grandi aziende, è qui che la trasformazione trova resistenze e lo vediamo nel Recovery plan, al quale mancano solo nomi e cognomi per essere cucito su misura per loro”, l’analisi amara del direttore Giuseppe Onufrio.