Nelle ultime 48 ore il Presidente americano Joe Biden ha annunciato un piano poderoso per l’economia e le infrastrutture: si tratta di un programma da 2 miliardi di dollari per ricostruire il Paese e rilanciare occupazione, modernizzare strade, ponti e scuole. Un piano per cambiare il modello economico con il quale gli Usa vogliono vincere la competizione con la Cina. Naturalmente, gli Usa hanno meno problemi di quanti ne abbia l’Europa (e l’Italia) dal punto di vista dell’innovazione digitale: per il resto, l’American Jobs Plan pare molto in linea con il Green Deal europeo.
L’ambizioso programma dell’Ue – Ursula von der Leyen ha detto che per l’Europa il Green Deal è come l’uomo sulla luna – ha infatti tre macro obiettivi: 1) consolidamento del mercato interno; 2) innovazione digitale ed energetica; 3) contrasto al climate change.
Anzitutto, gli ingenti investimenti che stiamo vedendo dispiegarsi – con la differenza che gli Usa mostrano più coraggio dell’Europa as usual -, vanno nella direzione di rispondere alla riconfigurazione della globalizzazione: la pandemia mette fine a un ciclo che già negli ultimi 10 anni ha conosciuto il fenomeno del back reshoring delle produzioni – attività produttive riportate in patria dai principali Paesi manifatturieri precedentemente delocalizzate – e che negli ultimi 5/6 ha visto la crisi del commercio mondiale, tanto che nei mesi di marzo-aprile 2021 si è parlato di crollo degli scambi.
In realtà, il commercio mondiale era già pesantemente ridimensionato dal 2017, cosa che non solo coincide con l’inizio della crescita debole in Europa ma anche con la riconfigurazione della globalizzazione dal multilateralismo al regionalismo: ovvero, i grandi mercati si sono ricostituiti in senso macroregionale attorno alle grandi piattaforme produttive (Usa, Europa e Cina), con la particolarità che mentre Usa e Cina hanno un mercato interno molto coeso, l’Europa non ce l’ha, essendo sempre prevalsi i particolarismi e la facilità di penetrazione di aziende e prodotti americani e cinesi. Da qui l’idea oggi dei “dazi verdi” della Commissione presieduta da Ursula von Der Leyen.
Ora, Biden introduce 2.000 miliardi nella propria economia sapendo due cose fondamentali: deve dare risposta alla crisi del lavoro e, anche, del clima. Il suo piano parte dalle infrastrutture (trasporti, banda larga, rete elettrica), ma punta anche sui settori industriali più legati all’innovazione e a favorire la transizione energetica. In particolare: 115 miliardi di dollari per l’ammodernamento di strade e ponti, 85 miliardi per il sistema di trasporto pubblico e 80 miliardi per le ferrovie. Altri 42 miliardi destinati a porti e aeroporti, 100 miliardi allo sviluppo della banda larga e 111 miliardi al rifacimento del sistema idrico (di questi, 45 miliardi andranno all’eliminazione del piombo dai condotti dell’acqua). Inoltre, 300 miliardi per lo sviluppo di settori industriali avanzati, ad esempio quello farmaceutico (per non trovarsi impreparati dinnanzi a una nuova emergenza sanitaria). Vi è poi una parte del piano che riguarda il clima e la riconversione energetica: 180 miliardi per ricerca tecnologica, 174 miliardi per incentivare produzione e acquisto di auto elettriche e altri 100 miliardi per modernizzare la rete elettrica (20% della flotta di bus gialli che portano i ragazzi a scuola sarà costituita da veicoli elettrici).
Al di là dell’impatto che queste misure avranno su occupazione ed economia, è piuttosto evidente che lo avranno anche per il clima. Europa e Usa viaggiano allineate verso gli obiettivi di sviluppo sostenibile dentro un nuovo multilateralismo all’insegna di una rinnovata alleanza atlantica. Sono noti gli obiettivi di carbon neutrality dell’Ue, è meno nota la volontà dell’Unione di diventare nel futuro prossimo l’epicentro mondiale della mobilità sostenibile. In questo, l’Italia ha grandi opportunità.
Contrariamente a quanto si possa pensare, anche la Cina si sta muovendo nella direzione dello sviluppo sostenibile (tendenza confermata anche dal MIT di Harvard): sono le complicate relazioni internazionali che Pechino ha col resto del mondo – lo abbiamo visto in particolare in tempo di pandemia – a coprire questo importante elemento.
A riprova di questo, il 22 e 23 aprile gli Usa hanno promosso un vertice mondiale sul clima. Biden ha invitato 40 leader mondiali tra cui, anche, Vladimir Putin (!) e Xi Jinping. È un passaggio intermedio sulla strada per la Conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (cop26) prevista a novembre 2021 a Glasgow. Le grandi potenze si muovono per contrastare la crisi climatica. È questo il possibile e futuro shock della globalizzazione che dobbiamo evitare.
Twitter: @sabella_thinkin
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