Diremo addio a climatizzatori e pompe di calore in 8 case su 10: sarà questo lo scenario che ci troveremo dinanzi se tra un paio di mesi verrà approvata in sede europea la revisione del Regolamento F-Gas. Oggi è sufficiente posizionare le unità esterne ad esempio sui balconi, ma un domani sarà molto problematico installare le nuove macchine viste le necessarie distanze di sicurezza tra le unità esterne e le superfici abitative. E i problemi non riguarderanno esclusivamente le abitazioni private. Ci saranno maggiori difficoltà per garantire la sicurezza degli ambienti in cui viviamo (dalle case agli ospedali, passando per superfici commerciali e fabbriche) se il nuovo regolamento europeo prevederà in sistemi di climatizzazione e pompe di calore il solo uso di gas naturali come propano (facilmente infiammabile) e ammoniaca (potenzialmente tossica). Questi gas oggi sono vietati in ospedali, hotel e cinema e si aprirà un grosso tema su come riscaldare o rinfrescare questi spazi.
Abbiamo chiesto a Gabriele Di Prenda, esperto di Regulatory Affairs e profondo conoscitore della normativa F-Gas nonché partecipante ai Tavoli di lavoro all’interno delle associazioni Assoclima e Assotermica, di commentare le nuove regole imposte dall’Ue al settore della climatizzazione per raggiungere la neutralità climatica entro il 2050.
Di Prenda: climatizzazione, con le nuove regole Ue in molti dovranno rinunciarci
Il timore è che molti dovranno rinunciare alla climatizzazione nelle proprie case e non solo. “Nel momento in cui i privati non potranno riparare i propri condizionatori e pompe di calore esistenti e dovranno comprarne di nuovi, si aprirà il problema di come sostituirli – dice Di Prenda -. La climatizzazione rischia di diventare un privilegio per pochi”.
E a beneficiarne, da un punto di vista economico, sarà il mercato estero. “Se il regolamento passasse a guadagnarci sarebbero le industrie, in particolare del Nord Europa, che puntano a imporre un nuovo standard tecnologico che non contempla le esigenze climatiche ed installative del Sud Europa“, fa notare l’esperto, senza contare che sarebbe inoltre un grosso vantaggio per chi produce e distribuisce fonti fossili (gas, combustibili per il riscaldamento) che vedrebbero rallentare l’ingresso di tecnologie più “green” come le pompe di calore. “Ci guadagnerebbero anche i produttori di USA e Cina di apparecchiature per la climatizzazione, che potranno rimpiazzare il vuoto di mercato lasciato sullo scenario mondiale dai produttori europei e italiani in particolare: infatti, tra le proposte sul tavolo per la revisione del regolamento, c’è anche quella che prevede per i produttori europei il divieto di realizzare apparecchi funzionanti con i ‘vecchi’ gas, anche per la sola esportazione extra Ue”, chiosa Di Prenda.
Quali sono i rischi per l’economia
L’economia italiana potrebbe quindi risentire fortemente delle nuove regole dell’Ue sulla climatizzazione. Dagli ultimi dati disponibili, il settore pesa sul PIL dallo 0,3% allo 0,5%, pari a una cifra compresa tra i 5 e gli 8 miliardi circa. La nuova normativa esporrebbe quindi al rischio di perdita di lavoro oltre 100 mila persone in Italia. E se dal lato ambientale l’Europa vuole bandire gli F-Gas perché, se liberati in atmosfera, contribuiscono a generare l’effetto serra, in realtà il loro utilizzo permette di adottare pompe di calore capaci di sostituire le caldaie tradizionali e ridurre con certezza e in grande quantità le emissioni di anidride carbonica. Certo, esistono gas alternativi a quelli fluorurati correntemente in uso, ma privarsi dell’utilizzo di tutto il portafoglio di tecnologie disponibili ad un rapido intervento di sostituzione delle caldaie di vecchia concezione non può che essere controproducente rispetto all’obiettivo di riduzione della CO2 nella sua interezza.
È per questi motivi che Di Prenda si augura che l’Unione riveda le sue idee in merito. “Il nuovo Regolamento è ora nella fase procedimentale di Trilogo, tra Commissione, Parlamento e Consiglio europeo. Occorre quanto prima sensibilizzare l’opinione pubblica affinché le istituzioni – Governo e Ministero dell’Ambiente in primis – si attivino per modificare l’impianto del provvedimento: abbiamo pochissime settimane per evitare un grosso problema”, ha concluso l’esperto.