Sono sempre di più i paesi nel mondo che iniziano ad approcciarsi al cosiddetto cloud seeding, ovvero una tecnica che tramite alcune sostanze chimiche nebulizzate in atmosfera potrebbe riuscire ad indurre la pioggia. In alte parole, l’obiettivo è quello di piegare artificialmente il clima in base alle proprie esigenze, per cercare di invertire la siccità o le gravi carestie di acqua, soddisfando le necessità delle popolazioni che maggiormente ne soffrono.



Attualmente il leader mondiale nelle tecniche di cloud seeding è la Cina, che dalla fine de 2019 ha lanciato un vero e proprio piano nazionale per indurre la pioggia, dopo decenni di sperimentazioni. Ogni città, ora, ha un suo piano locale, che tra il giugno e il novembre del 2022 ha portato ad oltre 15mila semine, che secondo il Quotidiano del Popolo avrebbero contribuito a 8,56 miliardi di tonnellate di precipitazioni aggiuntive. Così, forti dell’esempio della Cina, sono sempre di più gli attori internazionali che si affacciano nel cloud seeding, tra USA, Emirati Arabi, Russia e Sudafrica, tra gli altri. Eppure, la comunità scientifica non è affatto convinta che queste tecniche funzionino, così come sono forti i dubbi per la salute delle popolazioni e del pianeta.



Cloud seeding: come funziona e che rischi comporta

Insomma, a breve moltissimi stati mondiali potrebbe inseguire la chimera del cloud seeding, che permetterebbe di indurre la pioggia. Concretamente, le tecniche più diffuse attualmente utilizzano particelle di sale o di ioduro d’argento, nebulizzate tra le nuvole tramite aerei, razzi o dispositivi di terra. L’effetto sperato è quello di dare una spinta al ciclo naturale dell’acqua, riempiendo (figurativamente) e nuvole di vapore perché lo rilasciano a terra sotto forma di pioggia.

La domanda principale, ovviamente, è se il cloud seeding funzioni veramente. Oltre alle dichiarazioni del governo cinese, infatti, la comunità scientifica ritiene che sia una sorta di effetto placebo, la cui percentuale di riuscita concreta si aggira attorno al 20%. Ed oltre agli esorbitanti costi (gli Emirati stanziano 1,5 miliardi per tre anni di progetto) non è neppure chiaro se le sostanze sparate nell’aria tramite il cloud seeding siano salutari per l’uomo. Le autorità sostengono di sì, seppur l’Agenzia Internazionale per la Ricerca sul Cancro già dal 2006 ha classificato il biossido di titanio, alternativa allo ioduro d’argento attualmente in sperimentazione negli Emirati, come un “possibile cancerogeno“. Lo ioduro, invece, secondo uno studio del 2016 può avere dannosi effetti, seppur moderati, sugli ecosistemi terrestri ed acquatici.