Aurelio Ponzoni, detto Cochi (del famoso duo Cochi e Renato, Pozzetto), è stato intervistato dal Corriere della Sera, una bella chiacchierata in cui lo stesso ha ripercorso brevemente la sua carriera, in occasione del festival dell’umorismo di scena a Livorno dal 24 al 26 maggio.
Cochi racconta di aver avuto uno zio sacerdote che nel 1930 scrisse un libro su tutte le chiese, fu lui a mettergli il nome Aurelio, mentre a ribattezzarlo Cochi fu la mamma “un personaggio buffo del Corriere dei Piccoli”. Il noto comico è un milanese doc e ricorda la Milano del dopoguerra con un gran fermento artistico, un concentrato di vita. “L’ho assorbito inconsapevolmente, da ragazzino, quando iniziavo a frequentare le osterie dove si ritrovavano pittori, scrittori, attori, gente di teatro”, discutendo con gli intellettuali di fronte ad un bicchiere di vino e a volte anche litigando ma sempre con grande solidarietà. “Con Toffolo, Andreasi, Lauzi – aggiunge – avevamo fatto una cooperativa. Dividevamo i magri incassi della serata fatta in un sottoscala da 50 posti”. Ma chi erano questi intellettuali? Manzoni, Fontana e Dario Fo racconta ancora Cochi, e “quell’aria che ho avuto la fortuna di respirare con Renato, mi ha dato molti input nello scegliere direzioni anche sconosciute. Ho trovato il coraggio nel seguire i miei sogni”.
COCHI: “IL MIO PRIMO LAVORO FU A LINATE…”
Curioso l’aneddoto su Fontana che il comico racconta di aver accompagnato a casa sempre la sera perchè non guidava e parlava in dialetto milanese: ““Dai, sali che ti do un quadro”. Non ho mai accettato. Ero un ragazzino, mi sembrava di approfittarne. Però che soddisfazione andare al Metropolitan e dire che era mio amico”. Anche con Piero Manzoni non mancano gli aneddoti: “L’abbiamo aiutato a realizzare una sua opera, Linea lunga 11 km. Aveva bisogno che qualcuno gli tenesse il pennarello mentre srotolava il nastro. Così gli abbiamo dato una mano”.
Che dire poi di Enzo Jannacci, altro personaggio che frequentava la Milano della cultura e dell’arte in quel periodo. Cochi ne parla come di “Un fratello maggiore, geniale e matto come un cavallo. Gli devo molto, e per me non se n’è mai andato”, aggiungendo di come l’artista, che nella vita faceva il medico, sia stato “un maestro di vita”. Il sodalizio più noto resta comunque quello con Pozzetto. I due si conoscevano prima di diventare famosi visto che i genitori rispettivi erano amici: “Suonavamo, cantavamo, inventavamo versi con un linguaggio nostro. Per tutta la vita abbiamo giocato con parole e note, come la domenica all’oratorio”.
COCHI: “IL MIO PRIMO LAVORO FU A LINATE…”
Ma il suo primo lavoro quale è stato? Quello di “Check-in Counter all’aeroporto di Linate, ci sono rimasto per due anni, pur continuando a frequentare il mondo dello spettacolo”. La sua carriera nacque poi con Lattuada che gli offrì la parte di Poligraf: “Accettai senza esitare, anche perché il protagonista era Max von Sydow, famoso per L’Esorcista e I Tre Giorni del Condor. Intanto Renato era impegnato nel suo primo film Per amare Ofelia. Come dire, ci siamo separati dolcemente”.
Ma oggi il pubblico è cambiato? Secondo Cochi è rimasto lo stesso ma sono cambiati tempi, linguaggi e mezzi di comunicazione: “La gente risponde sempre agli stimoli genuini e positivi. Anni addietro si osava molto, non avevamo filtri o paura d’essere noi stessi, come ci avevano insegnato i nostri amici pittori. Raccontavamo storie strampalate senza una logica apparente, ma un po’ clandestina. Erano la sintesi di quell’idea di fare spettacolo, di cabaret, che ben ci sapeva rappresentare”.