Cochi Ponzoni, storico amico di Pozzetto, si è raccontato ai microfoni del quotidiano Il Giornale, ripercorrendo 60 anni di carriera e di risate. «Sono un figlio della guerra – spiega – la mia famiglia si era spostata in un paese vicino a Varese, Gemonio, e ho trascorso lì la prima infanzia». E proprio a Gemonio conosce Renato Pozzetto: «Un’avventura nata naturalmente». Ma come era da ragazzo Cochi Ponzoni?«Diciamo che ero molto vivace e curioso. Poi ecco, le mie sorelle mi portavano a Messa, e io a quattro anni fuori dalla chiesa facevo l’imitazione del prete: avevo già questa smania di rappresentare qualcosa… I germi del mestiere». Ma quando ha cominciato? «A 15 anni appartenevo alla Compagnia amatoriale del Teatro Angelico di via della Moscova: la domenica, con gli amici, facevo degli spettacoli negli oratori». Per poi precisare: «Professionalmente ho cominciato a 22 anni ma, prima, per due anni ho lavorato a Linate, al check-in di tre compagnie: sapevo inglese, francese e tedesco…». Cochi Ponzoni era solito recarsi a L’Oca d’oro a Milano: «Il nostro punto di ritrovo, a Brera. C’erano Manzoni, Fontana, Buzzati, Branciardi, Eco, Fo, Franca Rame… Facevamo ascoltare le nostre canzoni a questi personaggi per divertirci, senza quasi sapere chi fossero».
Erano giovanissimi: «Intorno ai 15-16 anni: io ero a ragioneria, Renato al geometra. Trascorrevamo le nostre serate lì. È così che abbiamo incontrato i Mantegazza, Tinin e Velia: loro avevano una galleria, la Muffola, dove tenevano dei vernissage notturni, e ci invitarono a esibirci da loro. Un cabaret in pectore. Poi, nel ’64, con Tinin e Velia abbiamo deciso di fare davvero un cabaret. Abbiamo affittato il sottoscala di un bar in via Santa Sofia. Il Cab 64 era una cooperativa con vari artisti, e ogni sera dividevamo il risultato. Che poi c’erano 50 persone al massimo… Buzzati, per aiutarci, ordinava Dom Pérignon. E poi è arrivato Jannacci, e nel ’65 è iniziata l’avventura del Derby, con Bruno Lauzi, Lino Toffolo e Felice Andreasi: per dieci anni siamo stati sempre insieme». E li nasce il duo Cochi e Renato: «Sì, lì nasce tutto. Avevamo già un nostro repertorio, e lo abbiamo arricchito con l’aiuto musicale di Jannacci: noi scrivevamo i testi, Enzo la musica».
COCHI PONZONI E L’USCITA DAI RADAR: “CON JANNACCI INDIVISIBILI”
Con Jannacci: «Eravamo indivisibili, sempre insieme. Enzo era già famoso, ma rifiutava delle serate, ben pagate, per stare con noi. Era un maestro, e anche il nostro produttore discografico: è stato un lavoro fatto in amicizia totale, un’esperienza meravigliosa». Ma come nascevano i numeri del duo comico? «In modo occasionale. Partivamo da una frase e cominciavamo a sproloquiare, fino a mettere le idee insieme: era tutto originale perché frutto di un linguaggio solo nostro. Non solo l’esito, ma anche la partenza era surreale… Prenda Tema».
Fra i loro sketch più noti anche gli irriverenti brani come La gallina o La vita l’è bela: «Sono un miscuglio di canto e recitazione, alla cui origine c’è la canzone milanese, in dialetto. La prima è stata El portafoeuj: è la storia di uno che prende il tram, gli rubano il portafoglio, e lui racconta quello che c’era dentro… E io, a dispetto: Ma quanto sei scemo, te s’è propri un pirla. È così che è iniziato tutto, a dispetto: la forza è quella lì, di due individui compatibili, con caratteristiche totalmente diverse, ma che si sposano bene». E gran merito ce l’ha anche la cassoeula della mamma: «Ah, quella era la sua specialità. È stato durante un pranzo con la cassoeula che è nata La vita l’è bela». Secondo Cochi Ponzoni, però, non ci sono erede: «Nessuno», anche se non nasconde di avere degli apprezzamenti: «Aldo Giovanni e Giacomo, Mago Forest, Raul Cremona, Albanese, Paolo Rossi».
COCHI PONZONI E L’USCITA DAI RADAR: “HO FATTO TEATRO DI PROSA”
L’amico di Pozzetto negli ultimi anni è un po’ sparito dai radar, ma lui specifica: «Avevo fatto teatro di prosa, quindi ero sparito dalla tv, e qualcuno pensava fossi morto… Il teatro di prosa ha un suo pubblico, ma non crea quella popolarità che danno la tv o il cinema; io però mi sono divertito moltissimo a farlo: era il lavoro che sognavo, fin dall’inizio. E poi ho fatto film con Lattuada, Dino Risi, Monicelli, Sordi. Sordi faceva così ridere che, quando mi mostrava come fare certe scene, non riuscivo a smettere».
Ma dove si è divertito di più? «Al Derby, tutti insieme. E poi nel teatro di prosa», in merito invece a chi l’ha segnata di più: «Jannacci. Un fratello maggiore. Abbiamo vissuto momenti di una felicità irripetibile». Ma con Renato Pozzetto lavoreranno ancora insieme? «Avevamo intenzione di fare una rentrée per la riapertura del Lirico, ma vedremo. Siamo un po’ in là con l’età». Chiusura sul segreto per fare ridere: «Guardi, è solo nel fatto che si nasca con quel talento lì, che io e Renato abbiamo avuto la fortuna di avere. Siamo figli della strada: siamo nati con quel guizzo e, anche, con la voglia di esibirci, di rappresentare noi e gli altri, di fare musiche e canzoni e di far divertire la gente. Che ce n’è tanto bisogno».