Il suo nome è legato indissolubilmente ad un altro, quasi a diventare uno unico: parliamo di Cochi, diventatto famoso con Renato, coppia che ha scritto le pagine del cabaret italiano e dopo ancora quelle della televisione. A quel punto, le loro strade si sono artisticamente, rimanendo però vicinissime dal punto di vista umano. A raccontare quei tempi, sulle pagine di Libero, è Cochi Ponzoni: “La Milano del Dopoguerra era una città con un calore che non c’è più. Quello che colpiva era la facilità con cui si potevano avere scambi culturali di alto livello. Nelle osterie si trovavano intellettuali che parlavano senza problemi con gli operai”.



Ciò che colpiva, di quella Milano, era “la possibilità di incontrare grandi personalità come è avvenuto a me e Renato” e che dava inoltre grandi chance, come quella che loro ebbero con il cabaret: “Una vicenda iniziata senza che ce ne accorgessimo. Davvero non sapevamo quello che stavamo facendo. Più che altro eravamo guidati dal gusto di trovarsi con gli amici e con le persone che conoscevamo. Tutto nasceva dal gusto della socialità”. Dopo, arrivò la televisione: “Io e Renato non volevamo nemmeno farla. Anche perché i funzionari Rai che venivano a vedere gli spettacoli al Derby senza pagare ci stavano sui cosiddetti. Fu Marcello Marchesi a convincerci quasi a forza”. Da quel momento arrivò un “successo inconsapevole perché la tv era un mezzo del tutto al di fuori della nostra portata del tempo”.



Cochi: “A me e Renato il cinema non interessava ma poi…”

Cabaret, televisione e dopo ancora il cinema per Cochi e Renato. A Libero, Ponzoni racconta: “È arrivato in un momento magico, ma a noi non interessava e all’inizio rifiutammo. Poi a Renato offrirono una parte in “Per amare Ofelia” e io feci “Cuore di cane” con Lattuada…”. Lì le strade si divisero “perché Renato ebbe subito un successo straordinario al botteghino, mentre il mio film era più intellettuale”. Per Cochi, poi, fu il turno del teatro: “Lo avrei voluto fare da sempre. Avevo iniziato a fare teatro già da ragazzino all’Angelicum di Milano. Poi dal ’79 in poi non ho più smesso, a parte qualche parentesi televisiva“.



Nel corso della lunga carriera, Cochi ha lavorato anche con Enzo Jannacci che ritiene “mio fratello maggiore, perché
aveva cinque anni più di me e Renato. Eravamo davvero sempre insieme” mentre Dario Fo fu “un grande maestro e uno dei primi nostri sostenitori all’osteria dell’Oca d’Oro dove veniva a sentirci e a darci consigli”. Il cabarettista divenne amico anche di Lucio Fontana: “Era un nostro grande fan. Ripeteva sempre, rigorosamente in milanese: Mi ve mandi a Sanrem. Non guidava e lo accompagnavo a casa e lui mi diceva sempre: vien su che ti do un quader. Non l’ho mai accettato quel quadro e ora un suo pezzo a New York è stato venduto per 22 milioni di dollari”. Per il comico, inevitabile anche un commento su Renato Pozzetto: “Mio fratello. Abbiamo la stessa età e siamo cresciuti insieme perché già i nostri genitori erano amici. Fin da bambini strimpellavamo insieme perciò è stato del tutto naturale iniziare a fare spettacolo insieme. Ancora negli anni Duemila, per 14 anni abbiamo portato in giro i nostri spettacoli. Ora è rimasta la grande amicizia di una vita“.