Passato ferragosto, comincia il nuovo anno. Così è per la scuola e così è per la politica. Tutto quello che è stato discusso e deciso nei mesi precedenti entra adesso nella fase della concretizzazione e, soprattutto, ciò riguarda il Pnrr. Adesso, poi, che i primi soldi del Next Generation Eu sono arrivati, non sembra più possibile scherzare. Le forze che sostengono il governo, ma anche quelle di opposizione, questo lo percepiscono e c’è da sperare, per il bene e per il futuro del Paese, che lo facciano coincidere con i loro progetti.



Il quadro politico è tenuto dalla presidenza del Governo che il presidente della Repubblica ha affidato a Mario Draghi. Non è che i partiti non siano percorsi da tensioni reciproche che li contrappongono, ma prevale la consapevolezza che non vi è la possibilità di una ripresa della lotta politica, almeno non al momento. Così, lo “ius soli”, la riforma della giustizia penale, la discussione sul reddito di cittadinanza, così come quella sull’uso del green pass sono poco più che scaramucce. Non che i temi non siano importanti, ma semplicemente non sono al momento rilevanti: o appartengono al passato o sono di là da venire.



Adesso è il momento di mettere in cantiere la prossima legge di bilancio e, con essa, le prime riforme: quella del fisco, quella degli ammortizzatori sociali e del lavoro e quella del sistema pensionistico, perché bisogna superare anche “quota 100” , ma senza ritorni al passato.

La congiuntura è ovviamente favorevole, non solo finanziariamente, ma anche e soprattutto dal punto di vista della pandemia. È vero, il virus circola ancora e la variante Delta è ormai dominante, ma questo autunno non sarà come il precedente che logorò il governo Conte 2. Non è che si sia fatto granché, ad esempio sul trasporto pubblico locale, che fu il grande vettore pandemico della seconda ondata; ma la situazione vaccinale, con tutte le sue enormi difficoltà, è comunque tale da scongiurare il ripetersi della catastrofe della scuola dello scorso anno. La vaccinazione del personale scolastico e universitario è stata poderosa, residua solo un 14% che non ha ancora avuto neppure una dose, ma che potrebbe colmare il deficit nelle prossime settimane di agosto, e i giovani sanno che se vogliono evitare la Dad, di cui portano ancora i segni, devono aderire senza pregiudizi alla campagna vaccinale; e lo stanno facendo dimostrando una maturità che sembra mancare agli adulti.



Dunque il vero punto di riferimento è adesso la legge di bilancio e le prime riforme strutturali; insieme a queste, bisogna rendere cantierabili i progetti da realizzare con i fondi europei. Attuare una legge di bilancio richiede in genere più anni, non basta l’anno di riferimento e lo stesso dicasi per i progetti europei: digitalizzazione, ambiente, sviluppo sostenibile non sono solo slogan, ma richiedono tempi medi e lunghi per la trasformazione dei modi di produzione economica, dei consumi e, non meno, delle coscienze individuali. Nel primo anno si faranno solo le scelte d’indirizzo e si avvieranno le normative necessarie, si indicheranno le milestone dei progetti e si nomineranno i commissari responsabili di ciascun progetto, ma la realizzazione di tutto ciò richiede più tempo. Lo stesso orizzonte temporale fissato dalle normative europee guarda al 31 dicembre 2023, per la disponibilità dei fondi, e al 31 dicembre 2026 per i pagamenti dei contributi finanziari agli Stati membri.

Se così stanno le cose e se da queste dipende lo slancio che il Paese sembra avere preso già in quest’anno, occorre che il consolato romano, che di fatto stiamo vivendo, sia prorogato ben oltre il febbraio del 2022, data cioè della scadenza dell’elezione del Capo dello Stato.

È un’idea che ho già espresso alcuni mesi or sono dalle colonne di questo giornale, ma che adesso posso articolare meglio, anche perché sembra che l’idea stia avendo un seguito.

Dal punto di vista istituzionale al momento la lotta politica è limitata perché lo Stato è retto da due consoli – il paragone con le istituzioni della Repubblica di Roma mi sembra quello più calzante –, quello che siede al Quirinale e quello che opera a Palazzo Chigi. A questo siamo giunti senza proclamare una dittatura commissariale, come fu al tempo della crisi economico-finanziaria, con Napolitano e di Monti (novembre 2011), ma pur sempre per le incapacità delle forze politiche di compiere per la terza volta nel Parlamento della XVIII legislatura una riaggregazione di maggioranza per dare luogo ad un governo parlamentare.

Il Governo Draghi gode certamente in Parlamento di una maggioranza, la più ampia possibile, e coinvolge nella sua compagine, oltre a ministri cosiddetti “tecnici” di grande levatura, anche figure politiche dei contrapposti schieramenti e ciò basta ad escludere la raffigurazione della dittatura commissariale, ma non è sufficiente per applicare l’etichetta delle larghe intese, tipo Großkoalition tedesca, perché non è opera dei partiti e del Parlamento l’accordo cui si è addivenuti nel votare la fiducia al governo. La fiducia è una conseguenza della reggenza consolare dello Stato, che mette fine o – quanto meno – attenua l’insensatezza di una lotta politica inconcludente, come quella che avevamo.

La reggenza è espressa dal Presidente della Repubblica; e questo rientra nella posizione del Capo dello Stato nella forma di governo parlamentare. Con la nomina del Presidente del Consiglio dei ministri, nei termini in cui è avvenuta dopo il discorso di Mattarella a gennaio di quest’anno, i poteri di reggenza sono condivisi con quest’ultimo, che li adopera coinvolgendo gli attori politici del Paese, distribuendo compiti e prospettive di lavoro e rimediando soluzioni a ipotetici e reali conflitti della sua compagine; in una parola, svolgendo un ruolo di integrazione politica generale.

Tutto questo non è sicuramente la panacea dei mali endemici dell’Italia, ma sembra ben funzionare e avere ridato impulso all’economia nazionale e un aspetto dignitoso all’immagine europea e internazionale della nostra Repubblica.

A questo punto una ripresa della lotta politica in vista della scadenza del mandato del Presidente della Repubblica, o subito dopo, sarebbe deleteria tanto quanto l’idea di spingere Draghi alla presidenza della Repubblica. Intendiamoci, non perché non sarebbe appropriato al ruolo. Tutti gli italiani di buon senso sanno che questa posizione lo aspetta; ma nei tempi giusti, non ora, non subito, non a febbraio 2022.

Al momento la reggenza di Mattarella dovrebbe continuare nell’interesse dell’Italia e la sua rielezione non avrebbe affatto lo stesso significato di quella di Napolitano. In quel caso, infatti, non vi era un accordo e neppure un candidato plausibile; anzi tutti quelli pensati furono impallinati dagli stessi proponenti. In questo caso il candidato ci sarebbe, ma dovrebbe essere preservato, perché deve portare a compimento un compito politico-istituzionale che nella migliore delle ipotesi dovrebbe durare sino al 31 dicembre 2023.

Si dirà: e le forze politiche che faranno? Intanto studiano e imparano a governare meglio, i due consoli sono anche due ottimi professori: uno di diritto costituzionale e uno di economia; e poi, avranno altre scadenze per misurarsi, a partire dalle elezioni amministrative e regionali del prossimo 4 ottobre, e ciò dovrebbe mostrare anche che si sono abituate ad una lotta politica più concludente, così come a forme di più seria collaborazione; e non sarebbe poco.

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