Caro direttore,
dopo 25 anni di onorata Colletta Alimentare, quest’anno avrei avuto tutti i buoni motivi per non farla: una settimana pesantissima di lavoro per un grave problema, un nuovo imprevisto sempre lavorativo che mi costringe ad andare a Milano il sabato della Colletta alle 8 di mattina (abito a 125 km da Milano)… Ma quest’anno c’è una novità per cui non posso non andare.
Un nostro amico del Rotary, ascoltando ad uno dei soliti loro incontri la direttrice del carcere di Verbania che parla dell’esperienza all’interno del carcere e delle attività di volontariato tra cui cita anche il Banco Alimentare, si alza e dice: “Io con alcuni del Rotary parteciperò alla Colletta Alimentare …”. La direttrice offre subito la sua disponibilità a mandare dei carcerati, basta andarli a prendere e riportare entro le 19. Il nostro amico sente subito mia moglie, capo équipe in una grossa Ipercoop, dove già il nostro amico con altri del Rotary aveva fatto la Colletta anni prima, e ne parlano ai “capi”. La loro reazione è del tipo: “Ma come si fa? È una grossa responsabilità, chi se la prende? E se poi scappano?”.
Ne parliamo tra noi e decidiamo di andare avanti lo stesso. Il nostro amico con mia moglie e nostra figlia, subito entusiasta della cosa (a lei le cose un po’ borderline sono sempre piaciute), sentono la direttrice e sabato alle 14 vanno al carcere a prendere i detenuti. Sono cinque: Ilario, alla sua prima uscita dopo 2 anni di carcere; i due fratelli Angelo e Paolo; Raul e Michele.
Al pomeriggio sono io il capo équipe e li aspetto con curiosa attesa. Ilario e Michele vanno a inscatolare, Paolo, quello forse un po’ più timido, va a all’uscita delle casse a raccogliere i sacchetti, Raul e Angelo all’ingresso ad invitare alla Colletta.
Dopo 15 minuti i due all’ingresso spariscono. Attimi di panico tra me e l’amico del Rotary, ci guardiamo tra noi e intorno per capire dove fossero finiti… Ma era ovvio: a prendersi una pausa e fumarsi una sigaretta. Che bello farlo all’aperto “liberi!” Avremmo dovuto immaginarlo e non preoccuparci…
Ai due, Michele e Ilario, a inscatolare non devo dire nulla, hanno subito preso in mano la situazione, dividono il contenuto dei sacchetti consegnati, chiudono gli scatoloni, pesano, segnano nella tabella di raccolta e spostano i cartoni per essere caricati.
Raul e Angelo all’ingresso fermano tutte le persone che entrano al supermercato, non scappa nessuno e dicono “Noi siamo del Banco Alimentare, volete partecipare alla Colletta?”, spiegando di cosa si tratta. Li guardiamo stupiti, commossi (l’Iper è grande e in totale siamo in 12), gli abbiamo detto pochissimo, fino a mezz’ora prima non sapevano neppure cosa fosse, ma il Banco Alimentare e la Colletta erano già una cosa loro. E così fino alle 18.30, perché alle 19 dovevano rientrare.
Solo una breve parentesi, in cui ci è venuta l’idea di andare a prendere delle pizze e mangiarle insieme: e che gusto mangiarle da liberi. Nelle quattro ore della Colletta ci hanno raccontato un po’ della loro vita (quel che si può raccontare…), le loro “cazzate”, i loro progetti per il futuro, quando saranno fuori, la loro voglia di sentirsi già adesso utili e accolti.
Alla fine li salutiamo, abbracciandoli a uno a uno. Uno mi bacia anche, tutti, noi e loro, con occhi diversi e con la promessa di rifare qualcosa assieme, di rivederci. L’amico del Rotary, mia moglie e mia figlia li riaccompagnano in macchina, non prima di dirci grazie, ma siamo noi a ringraziare loro, per come sono stati, per come hanno lavorato, per come si sono implicati, per la loro serietà, l’umanità, il loro bisogno di fare la Colletta.
Ritornano al supermercato dopo averli riaccompagnati con un’ultima perla di Raul: “Non importa dove sei, basta essere libero dentro, è un lavoro lungo e faticoso, ma dopo 6 anni ho capito questo!”.
Mi piacerebbe poter vedere le facce dei loro compagni di cella quando li hanno visti ritornare… Forse come le mogli degli apostoli dopo aver visto Gesù: “Ma cosa vi è successo?” domandavano loro.
Non vorremmo andare più via, non vorremmo finisse questa Colletta e allora mangiamo una pizza assieme, raccontandoci, discutendo di cosa fare con loro e per loro, ma forse anche per noi. E nasce l’idea innanzitutto di raccontare quanto è successo scrivendo, scrivendo anche alla direttrice, perché sappia dell’impegno dei “suoi carcerati” e dell’esito del suo tentativo di un carcere non punitivo, ma rigenerativo, di chiederle un incontro per come continuare.
Alla fine prevale la stanchezza e la giornata finisce e ritorniamo a casa, sfiniti ma lieti nel cuore.
Ruggero Spagliarisi
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