Grazie ai Colloqui Fiorentini, da 24 anni, in modo sempre più entusiasmante e nuovo, continua per me e per i miei allievi la scoperta di uno scrittore della letteratura italiana, attraverso la lettura dei suoi testi e il confronto serrato con le parole, le immagini, i suoni, che l’inchiostro dell’autore riesce a configurare sulla pagina bianca.



 

Da quando partecipo a questo convegno, organizzato da Diesse Firenze e Toscana e che vede il coinvolgimento di migliaia di studenti e centinaia di docenti delle scuole italiane e straniere, il mio lavoro di docente si è trasformato in una vera e propria ricerca della verità. Le lezioni che precedono la partecipazione al convegno di Firenze, infatti, non hanno la preoccupazione di seguire un programma scolastico, non si riducono a mere spiegazioni di nozioni sterili, che spesso annoiano i nostri alunni e anche gli stessi insegnanti, ma si rivelano come un momento avvincente in cui studenti e docenti dialogano con lo scrittore, interessati alla verità del testo e di loro stessi.



È un momento in cui finalmente sul palcoscenico delle nostre aule scolastiche emerge il protagonista della letteratura, che è il suo lettore, in attesa di un messaggio e di una rivelazione. A tale proposito, è proprio vero quanto afferma la scrittrice iraniana-statunitense Azar Nafisi: “ciò che cerchiamo nella letteratura non è la realtà, ma un’epifania della verità”. Non cerchiamo di scoprire, infatti, la biografia dello scrittore, ma principalmente una luce che illumini le nostre zone d’ombra. Solo la letteratura e l’arte possono penetrare questa dimensione, che tante volte risulta sconosciuta o inavvicinabile, e i testi degli autori diventano uno strumento utile, una sorta di lente di ingrandimento che ci avvicina all’invisibile immensità, come scrive Javier Marias nell’Appendice di Un cuore così bianco, a proposito di una letteratura che serve a “percepire l’immensità e la complessità”. Ogni anno gli scrittori con cui impariamo a “colloquiare” ci offrono un tassello in più per ricomporre il puzzle della nostra interiorità, per comprendere la nostra umanità; ci regalano un segno in più per guardare, in modo più vero, il mondo e riconoscere anche gli aspetti più profondi della realtà, per giudicare ciò che ci accade, per imparare a pensare in modo critico e originale, senza pregiudizi di sorta.



Prima che con i ragazzi, però, il lavoro sull’autore inizia con il Comitato didattico dei Colloqui, un gruppo di docenti, provenienti da diverse città italiane. Ogni volta diventa un’occasione per imparare a leggere insieme nell’involucro delle parole quei significati nascosti che attendono di essere rinvenuti e recuperati dai suoi lettori. Raramente si trovano docenti interessati in prima persona a interrogare i testi di un autore, a leggerli con il solo desiderio di scoprire cos’hanno da dire all’uomo di oggi. Un gruppo di docenti si trasforma in una compagnia di lettori che vivono seriamente quest’esperienza prima di donarla ai propri allievi in aula. Prosegue, poi, il lavoro a scuola, quando finalmente la lezione si trasforma in una vera e propria ora di bellezza.

Quest’anno stiamo affrontando l’opera di Pier Paolo Pasolini e dalla lettura dei suoi testi stanno emergendo tanti aspetti importanti. C’è soprattutto un tema che sta interessando maggiormente i miei allievi e che sta sfidando le risorse della loro intelligenza, un argomento, per la verità, molto caro allo stesso Pasolini. Lo scrittore, infatti, è preoccupato per una sorta di “genocidio culturale”, come lo definisce lui stesso: l’uomo, senza accorgersene, sta smarrendo la propria umanità, la propria libertà. I giovani stanno perdendo di vista ciò che li caratterizza come persone: il loro cuore, infiammato di infinito, ma spento purtroppo dalle mode dell’uniformità. Il cuore dei personaggi dei suoi romanzi, il cuore dell’io poetico, nei versi della sua poesia, è come quello che si agita continuamente nel profondo dei miei ragazzi, dei miei colleghi e dentro di me.

Quello che non manca mai nelle sue pagine, infatti, è proprio il “cuore”, come racconta chiaramente il narratore in questo splendido passaggio de Il sogno di una cosa: “Quel po’ di sole che era spuntato sul mezzogiorno tra le nuvole, era di nuovo scomparso, e intorno era tutto nero. Ma non nel cuore dei ragazzi”. Non a caso il titolo di un suo articolo, apparso sul Corriere della Sera il 1° marzo 1975, pochi mesi prima di morire è: Non avere paura di usare un cuore. I personaggi scelti da Pasolini, le loro battute, la cruda rappresentazione di particolari tranches de vie sottolineano ciò che ci caratterizza, come esseri umani: la ricerca dell’indispensabile e non del superfluo.

Infatti, Pasolini, in una lettera aperta sul Corriere della Sera dell’8 luglio 1974 risponde a Italo Calvino, dicendo: “Mentre è chiaro che i beni superflui rendono superflua la vita”. La lettura della sua opera sta facendo emergere un Pasolini vivo, troppo scomodo negli anni 60 e 70 e ancora oggi; troppo reale per poter essere relegato nei territori rassicuranti e astratti della storia della letteratura.

“Non c’è dubbio che le sue parole, come i suoi versi, i passaggi dei suoi libri, riguardano il tempo in cui stiamo vivendo”, come ha affermato F. Colombo nell’ultima intervista a Pasolini. I versi, le pagine dei romanzi e dei saggi, le sequenze dei film di Pier Paolo Pasolini stanno invitando me e i miei allievi a respingere il conformismo, l’“ansia del consumo, l’ansia di un’obbedienza a un ordine pronunciato […] l’ansia degradante di essere uguale agli altri nel consumare, nell’essere felice, nell’essere libero” (Pasolini, Scritti corsari); i suoi testi ci stanno insegnando a non aver paura di sentirci diversi.

Nelle ore di lezione, in compagnia di Pasolini, è sconvolgente assistere al dramma di personaggi che tentano di mostrare la loro diversità, la loro originalità, che cercano la “sacralità della vita”, cioè la loro autenticità, quella realtà che rende eterna ogni cosa, “La realtà – l’irreale Qualcosa/che faceva eterna quella sera” (Pasolini, Quadri friulani). L’invito di Pasolini è di essere sé stessi, come afferma nelle ultime parole, che avrebbe dovuto pronunciare il 4 novembre 1975, due giorni dopo la sua morte: “Contro tutto questo voi non dovete fare altro che continuare a essere voi stessi: il che significa essere continuamente irriconoscibili”.

Io e i miei allievi usciamo cambiati dalla lettura delle sue opere. Il colloquio con l’autore risulta davvero illuminante.

Mi interessa continuare a leggere la letteratura in questo modo avvincente, mi interessa continuare ad appassionarmi al cuore delle parole di uno scrittore e a far appassionare centinaia e centinaia di studenti, che ogni anno mi chiedono di voler partecipare a questa grande avventura letteraria e umana.

Continuo a partecipare ai Colloqui Fiorentini perché è conveniente per la mia vita di uomo e di docente di letteratura italiana. Proprio questo convegno mi ha fatto scoprire quello che afferma Pasolini stesso nell’articolo Cosa sono gli intellettuali: “Gli intellettuali non ci interessano per quello che fanno, ma per quello che fanno per noi”.

Il dono dei loro testi, il suono della loro parola riempie sempre di più il silenzio assordante che ci circonda, il nulla che ci divora.

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