Incollati alla tragedia ucraina, i Paesi europei stanno letteralmente perdendo il filo di quello che accade nello scacchiere euromediterraneo. Alle spalle dell’Algeria hanno covato per decenni, fin dalla metà degli anni novanta, decine di migliaia di miliziani jihadisti che nel tempo hanno esteso la propria rete ai gruppi responsabili del traffico di esseri umani, del narcotraffico e del traffico di armi a cavallo delle frontiere con il Mali e il Burkina Faso.
Dopo la guerra siriana sono arrivati i russi della Wagner, che, lungi dal porsi il problema di contenere le presenze jihadiste, hanno cominciato a corteggiare negli Stati del Shael militari ed avventurieri in modo da determinare nuovi equilibri.
Dal 2020, il Sahel ha visto ben cinque colpi di Stato: due in Mali, due in Burkina Faso ed uno in Ciad. Un’offensiva di forte stampo antidemocratico che ha cambiato anche gli equilibri internazionali, con il deteriorarsi dei rapporti tra Parigi e Bamako prima, Ouagadougou poi.
Adesso, le sorti del Niger sono seguite con apprensione dai Paesi limitrofi, ma anche fuori dalla regione. Dopo l’uscita della Francia dal Mali, il Niger è infatti diventato il centro nevralgico della presenza occidentale in quest’area. In Niger è posizionata la più importante base americana della regione. In Niger si trova peraltro anche la chiave del curioso rapporto che sembra legare Putin ed Erdogan, Mosca e Ankara, nel senso che dalla guerra di Siria i due Paesi hanno inaugurato un metodo infallibile. Litigano su tutto: Siria, Libia, Balcani, Nagorno-Karabakh, ovviamente Ucraina e Sahel, ma poi si accordano su tutto, col risultato di aumentare ognuno la propria zona di influenza a discapito particolarmente dell’Europa.
Appunto, l’Europa. In proporzione, il Niger è il Paese che l’Unione Europea aiuta di più. Se questi sono i risultati, evidentemente gli analisti della Commissione europea stanno sbagliando tutto, incapaci di mettere a fuoco il male oscuro che si è radicato nei Paesi del Sahel. E che ha fatto invece prendere posizione con decisione a 15 Paesi africani riuniti in Ecowas (Comunità economica degli Stati dell’Africa occidentale), che ha lanciato un ultimatum alla giunta militare, concedendole sette giorni per riconsegnare il potere al presidente estromesso Mohamed Bazoum. In caso contrario i Paesi dell’Ecowas – che hanno ricevuto l’appoggio di esponenti di spicco della diplomazia occidentale, da Josep Borrell ad Antony Blinken – non escludono l’uso della forza.
Con un cambio di potere a Niamey infatti troppi equilibri potrebbero cambiare ancora, ponendo in particolare l’Europa e gli Stati membri attivi in quest’area di fronte a decisioni difficili su come gestire i propri rapporti con le sfide provenienti dal continente africano. Il Niger ci ricorda insomma che il destino di questo Paese poverissimo, lontano e sconosciuto ai più, segna il nostro futuro molto più di quanto possiamo immaginare.
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