Si può ancora credere nella giustizia? Forse no dopo la sentenza di primo grado del processo (penale) di Napoli. Luciano Moggi, nonostante le telefonate (nascoste) portate al processo, è stato condannato a cinque anni e quattro mesi (cinque anni e otto mesi era la richiesta dell’accusa). Confermata quasi in toto l’impianto accusatorio del Pm Narducci (oggi assessore a Napoli…). Amareggiato e deluso Luciano Moggi ha lasciato il Tribunale al termine della lettura della sentenza. L’ex direttore generale della Juve non se l’aspettava anche perché nel corso del dibattimento i suoi avvocati erano stati in grado di smantellare l’impalcatura dell’accusa. Evidentemente non è bastato.
Le telefonate rilevanti (molte secretate fino a tre mesi fa) presentate in tribunale dalla difesa non sono state ritenute attendibili, mentre le telefonate dell’accusa sono state ritenute attendibili. Il dibattimento era andato a favore degli imputati, ma sono risultate determinanti le telefonate della prima ora e, soprattutto, le famigerate schede svizzere.
Due anni e mezzo di dibattimento e, soprattutto, tanti testimoni che hanno smentito il teorema dell’associazione a delinquere. Si può davvero credere che il mondo del pallone sia stato guidato da una banda del malaffare? Per il resto bisogna aspettare le motivazioni della corte. Tutto questo, però, non fuga i dubbi sulla gestione del processo sportivo (sommario e troppo precipitoso), anche se qualcuno ha già detto, sbilanciandosi, che con questa sentenza si mette fine alle polemiche. Non è vero.
Stefano Palazzi ha lanciato accuse chiare e forti all’Inter, ma la prescrizione ha salvato l’Internazionale. Non dimentichiamoci, inoltre, che a Napoli siamo al processo di primo grado per quanto riguarda la giustizia ordinaria. E, forse, nella giustizia si può ancora credere. Si deve ancora credere. Parlando di calco (giocato) le condanne non trovano un riscontro oggettivo nella storia degli anni Novanta/Duemila quando la Juventus non aveva certo bisogno di aiuti per vincere sul campo.
Anche Ibrahimovic nella sua autobiografia ha avuto parole pesanti sulla gestione di calciopoli («ci hanno affondato»). 

Alla fine ha trionfato il clamore mediatico (complici alcuni giornali), lo stesso che nell’estate 2006 non avrebbe voluto Marcello Lippi alla guida della nazionale… 
Nessuno questa sera può cantare vittoria. Le zone d’ombra restano. Il calcio esce sconfitto perché di fatto viene commissariato.