Alessandro Del Piero rappresenta la storia della Juventus e la storia non si commenta. Dalla storia si impara come dicevano i romani. La storia si racconta ai nipoti. Tra dieci/venti anni chi non l’avrà conosciuto potrà vedere i filmati che lo ritraggono con la casacca bianconera e leggere i numeri impressionanti delle sue gesta: miglior bomber di sempre nella storia bianconera e recordman di presenze. Si narrerà anche di un giocatore che, giovanissimo, ha tolto il posto in squadra a un certo Roberto Baggio (l’icona del calcio italiano degli anni Novanta) e che nel corso del tempo ha saputo conquistare critica e tifosi con i suoi gol «alla Del Piero» e le sue pennellate su punizione. Non ha sempre avuto un rapporto facile con i suoi allenatori, ma forse anche perché è uno che non ama alzare la voce: molti tecnici (fra questi Fabio Capello) cercano interpreti con più personalità. Si narrerà anche dei suoi successi (memorabile il gol nella finale di Coppa Intercontinentale), ma anche della sua dedizione alla causa juventina che l’ha portato a giocare sui campi della serie B.

Nel libro dei ricordi l’amore per la Juve attraverserà le pagine. Un amore che l’ha portato – per sgomberare ogni equivoco – a firmare un contratto (l’ultimo) in bianco. Come era successo con il primo. Si apre e si chiude la storia allo stesso modo. Quello di Alessandro non è un gesto demagogico; è piuttosto un segnale distensivo nei confronti della società. In un momento di piena crisi ribadisce il suo attaccamento alla maglia e, soprattutto, mette i dirigenti nelle condizioni di non fare i «furbi». Il rinnovo non è un problema. E’ un segnale anche per i suoi compagni (Marchisio, Chiellini e Sissoko su tutti) che battono cassa senza aver dimostrato (in molti casi) ancora nulla; è un segnale per chi arriverà in estate alla Juve: non servono mercenari, ma persone che sposino il progetto di rilancio. Anche dopo la batosta contro il Bologna.