L’emergenza coronavirus è piombata all’improvviso sulle nostre vite e ci ha costretto non solo a cambiare abitudini, ma anche e soprattutto ad adattarci a nuovi modi di vivere e lavorare. Sotto il profilo economico, il blocco di tante attività non potrà che provocare una crisi sicuramente ampia che solo massicci interventi degli Stati e delle banche centrali potranno in qualche modo attenuare.



Non è impossibile tuttavia cercare anche in questa situazione drammatica qualche elemento che potrà aiutare a rendere meno difficile il futuro. Scienza e tecnologia sono peraltro chiamate a un impegno vitale: la prima per individuare tutte le possibili strade, con terapie e vaccini, per limitare i danni prima e sconfiggere poi il virus venuto dalla Cina; la seconda per offrire soluzioni che diano spazi di crescita alla competitività delle imprese e quindi al lavoro.



Su questi fronti, per esempio, ci sono i progressi della telemedicina. Alcuni ospedali hanno ridotto i tempi di degenza e ampliato l’offerta mandando a casa i pazienti dopo la fase più acuta e continuando a tenerli sotto controllo nei parametri vitali. Fondamentali in questa prospettiva sono le tecnologie chiamate “internet delle cose” attraverso i collegamenti che scambiano automaticamente i dati e che intervengono in caso di allarme.

Sul fronte del lavoro i cambiamenti sono già stati rapidi negli ultimi anni e potrebbero diventare ancora più determinanti sotto la spinta dello scenario epidemico. Con tanti aspetti diversi, come spiega Richard Baldwin nel suo ultimo libro “Rivoluzione globotica” (Ed. Il Mulino, pagg. 312, € 22). Aspetti che riguardano, tra l’altro, una delle trasformazioni più importanti di questa società 4.0: quella che vede l’automazione, attraverso l’intelligenza artificiale, fare breccia nel settore dei servizi. I robot in fabbrica e i computer pensanti in ufficio possono prefigurare una società in cui ci sia sempre meno spazio per il lavoro tradizionale.



Ora è tuttavia significativo lo spazio che deriva dallo stato di necessità di limitare al massimo i viaggi e gli incontri: quello dello smart working, del lavoro agile, cioè di tutte quelle tecnologie che permettono di continuare a lavorare, soprattutto nel settore dei servizi e della Pubblica amministrazione, senza recarsi sul tradizionale posto di lavoro. In prospettiva non si tratta solo di lavorare da casa facendo le stesse cose che si fanno in ufficio, come sta in gran parte avvenendo ora in situazione di emergenza, ma di rendere più efficiente l’organizzazione del lavoro con la sfida di aumentare nello stesso tempo la produttività e la soddisfazione del lavoratore. Che può dedicare alla famiglia o agli hobby, il tempo, spesso tanto, utilizzato per gli spostamenti.

Così come nelle scuole e nelle università si stanno sperimentando forme di insegnamento interattive e in teleconferenza che potranno essere utilizzate in futuro per impostare progetti di formazione permanente su vasta scala, iniziative particolarmente importanti in un mondo in rapido cambiamento.

Da questa crisi potrebbe così trarre un nuovo slancio quella trasformazione del lavoro che preoccupa per il rischio di ridurre l’occupazione, ma nello stesso tempo ha riflessi positivi perché abolisce i lavori ripetitivi e in qualche modo pericolosi. La crisi epidemica cambierà tuttavia molte cose, anche nel processo di globalizzazione che ha caratterizzato gli ultimi vent’anni. Come? È ancora presto per prevederlo. Ma è necessario riflettere sul messaggio che Baldwin pone alla conclusione del suo libro: “È essenziale rendersi conto che il ritmo del progresso non è dettato da un’astratta legge di natura. Siamo in grado di controllare la velocità della trasformazione, ne abbiamo gli strumenti. Sta a noi scegliere”.

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