Come è stata uccisa Chiara Poggi? Il caso del delitto di Garlasco
L’omicidio di Chiara Poggi, ribattezzato dalla cronaca nera nazionale come delitto di Garlasco, fu uno dei casi più mediatici degli anni Duemila. Come è stata uccisa Chiara Poggi, la giovane 26enne laureata in Economia? Il giallo scatenò sin da subito una grande attenzione mediatica per via di tutta una serie di ombre, a partire dalle modalità in cui fu commesso e dall’arma del delitto mai trovata. Oscuro anche il movente, soprattutto dopo il coinvolgimento nella vicenda del fidanzato Alberto Stasi, all’epoca 24enne, poi condannato in via definitiva per l’uccisione della giovane impiegata.
Torniamo dunque a come è stata uccisa Chiara Poggi. Era un lunedì d’estate, il 13 agosto 2007, quando la villetta della famiglia della ragazza, a Garlasco, si tinse di giallo e rosso sangue. La giovane 26enne fu colpita a morte con un oggetto contundente, probabilmente un martello. Nessun segno di effrazione e una certezza secondo gli inquirenti: Chiara conosceva il suo assassino. Questo escluse l’omicidio come conseguenza di una rapina. Questo perché la giovane aprì la porta mentre era in pigiama e volontariamente. Quel giorno si trovava sola in casa poiché la famiglia era in vacanza. A trovare il cadavere fu il fidanzato Alberto Stasi. I sospetti finirono subito sul 24enne per via dell’assenza di sangue su scarpe e vestiti – come se fosse stati puliti e cambiati – nonostante lo scempio presente in casa. Dopo il suo arresto fu però inizialmente scarcerato pochi giorni dopo per assenza di prove a suo carico.
Omicidio Chiara Poggi: le indagini e i processi su come è stata uccisa
Le indagini sul delitto di Chiara Poggi, atte a fare luce su come sia stata uccisa la 26enne, cercarono di chiarire proprio l’assenza di sangue su scarpe e vestiti dell’indagato – motivata dalla difesa con il fatto che il sangue fosse ormai secco – ma anche sul presunto alibi di Alberto Stasi collegato all’ora della presunta morte della fidanzata. Secondo la difesa del ragazzo, infatti, Stasi sarebbe stato al lavoro sul computer a preparare la tesi di laurea. L’autopsia intanto stabilì che la morte sopraggiunse per “grossolane lesioni cranio-encefaliche di natura contusiva riscontrate sul cadavere. In modo particolare quelle relative alla lesione nella regione parieto-occipitale sinistra, in grado di causare un decesso pressoché immediato”.
Assolto in primo e secondo grado, la Cassazione annullò la sentenza di assoluzione ordinando nuovi esami del Dna, in particolare su un capello castano chiaro trovato tra le mani della vittima e sui residui di Dna sotto le unghie, reperti di fatto mai analizzati. Nel caso del capello, essendo privo di bulbo e quindi di Dna non portò a nulla, mentre i residui sotto le unghie, seppur compatibili all’imputato non potevano essere attribuiti con estrema certezza.
Solo durante l’appello bis del 17 dicembre 2014, in seguito alla nuova perizia sulla camminata e ad una serie di incongruenze nel racconto e pur in assenza di riscontri legati ai test del Dna, Stasi fu ritenuto colpevole dell’omicidio volontario e condannato a 24 anni di reclusione, pena poi ridotta grazie all’abbreviato. Furono escluse le aggravanti della crudeltà e della premeditazione, sentenza poi confermata in Cassazione, anche senza delineare un vero e proprio movente ma parlando di un momento di rabbia dell’imputato. Lui, di contro, si è sempre dichiarato innocente.