Il contrasto tra il dramma delle famiglie italiane e l’allegra parata degli Stati generali è stata crudelmente descritta ieri da Stefano Folli proprio sul Sussidiario: “Mi ricordano le discussioni che si facevano in una villa sopra Firenze durane la peste del Trecento, quella del Boccaccio”. Un mondo separato e scintillante, una visione preparata con cura da sottoporre alla gente comune per trascinarla in una specie di incantesimo, in una una fiaba dove il vuoto miserabile di idee di un governo inerte viene avvolto dalle luci della trasfigurazione, come se potesse trasformarsi in analgesico per la gente comune.
Villa Pamphilj è bellissima sullo sfondo del parco. Nel filmato di presentazione di circa 5 minuti il presidente del Consiglio Giuseppe Conte appare come appena disceso dal cielo e indica la villa come culmine della bellezza di cui l’Italia è ricca, e annuncia che lì un consesso magnifico estrarrà il piano di “resilienza”. Nessuno sa bene cosa sia, ma ormai è una parola usata da tutti, è diventata una formula-talismano.
Pare che a decidere la necessità di questo evento, scegliendo l’ambientazione, la tempistica, dettando i ritmi televisivi dell’esordio e poi dello svolgimento di questi “Stati generali”, con quel nome evocativo di rivoluzione, sia stato il portavoce del premier, Rocco Casalino. Qual è il problema? L’immagine, la confezione, i fiocchi, la disposizione delle luci, il ritmo della rappresentazione coincidono esattamente con i contenuti che questo governo esprime. Come nella villa del Decameron i racconti si susseguono, non hanno a che fare con la peste, essa è lontana. I giovani eleganti e distanti dalle condizioni comuni dei cittadini si dilettano in un mondo sopra le nuvole.
Rocco Casalino non è uno sprovveduto. Ha due lauree. L’esperienza vissuta come protagonista della prima edizione del Grande Fratello gli ha dato la certezza che il popolo è attratto e conquistato dall’irrealtà. Si identifica con i personaggi. Tifa per loro. E così si lascia trascinare fuori dal suo meschino tran tran quotidiano, immaginandosi di essere parte dell’avvenimento, confidente dei protagonisti, una cosa sola con loro.
Il film di 5 minuti già citato è nel suo genere un capolavoro. Giuseppe Conte è accarezzato da una brezza leggera, dietro di lui c’è il viale teneramente alberato che conduce alla Villa, e sembra che da un momento all’altro fanciulle vestite di seta debbano portare a noi che guardiamo questo paradiso dei sorbetti di albicocca.
Non ha funzionato. Persino gli osservatori più accondiscendenti si rendono conto che questo reality che Casalino ci sta propinando da mesi, studiando molto bene i ritardi delle conferenze stampa, i colori di giacca, cravatta e incavo degli occhi del suo assistito, sono balletti di distrazione sul vuoto. Oggi c’è un rigetto. Crescerà. Il rinvio a settembre di ogni piano e programma non può essere surrogato dalla danza dei sette veli: non c’è in giro nessuna Salomé in grado di gettare un sortilegio sul pubblico così che perdoni ogni colpa e inettitudine al sovrano incapace. Non se ne può più. C’è un rigetto e crescerà.
Da spunto leggiadro per un sogno, il giardino meraviglioso della magione principesca rischia di trasformarsi presto in un incubo da castello in Transilvania. Ogni giorno che passa è come se la presenza fisica di Conte perdesse massa corporea, evaporasse, e lo splendido parco di Villa Pamphilj si riducesse a contorno floreale di una pochette, senza volto, senza sostanza, senza anima.