Il documentario dedicato a Primo Levi, in onda questa sera su Raiuno, ripercorre le tappe più drammatiche e significative dello storico scrittore di Se Questo è un Uomo. Scampato al lager dopo la terrificante esperienza vissuta nel campo di concentramento di Auschwitz, Primo Levi dedica la sua vita al racconto delle atrocità viste e subite in prima persona. È morto l’11 aprile del 1987, probabilmente in seguito ad una caduta nella tromba delle scale del suo condominio. Tra le ipotesi più accreditate resta quella del suicidio, anche se c’è chi sostiene che la caduta possa essere stata causata dalle vertigini di cui Primo Levi soffriva. (Aggiornamento di Jacopo D’Antuono)
Com’è morto Primo Levi, lo scrittore di Se questo è un uomo
Com’è morto Primo Levi? Lo scrittore di Se questo è un uomo è morto cadendo nella tromba delle scale del suo condominio in corso Re Umberto 75 a Torino intorno alle 11.25 della mattina di sabato 11 aprile 1987. Fin da subito si parlò di suicidio: da tempo, era noto, il 67enne Primo Levi soffriva di depressione. L’ultima persona ad incontrarlo era stata la portinaia dello stabile, la signora Iolanda Gasperi, che come ogni giorno faceva da 12 anni a quella parte, era salita al terzo piano e aveva bussato alla porta di casa Levi: “Il dottor Levi aveva sì l’aria stanca ma non più del solito. È stato gentile. Ha preso la posta, pochi giornali e dépliants pubblicitari, mi ha salutato con cordialità“.
Fu un tonfo proveniente dalla tromba delle scale, pochi minuti dopo quell’incontro, a farle capire che di normale, di consueto, in quella mattina non sarebbe stato più niente. La portinaia, infatti, al Corriere descrisse in questi termini la scena che non avrebbe mai potuto dimenticare: “C’era come un nodo di membra. Un pover’uomo giaceva schiacciato sul pavimento. Il sangue gli nascondeva la faccia. Ho guardato attorno e, Dio mio, quell’uomo l’ho subito riconosciuto, era il dottor Levi“.
Com’è morto Primo Levi: suicidio o incidente?
Primo Levi si era dunque suicidato? Piegato dalle atrocità che l’Olocausto aveva lasciato impresse nella mente e nel corpo, aveva deciso di farla finita? Assalito dal senso di colpa tipico di molti sopravvissuti alla morte nei lager, aveva pensato che era tempo di raggiungere chi non ce l’aveva fatta? La moglie, Lucia Morpurgo, che si era allontanata da casi per pochi minuti per andare a fare la spesa, e che era rientrata nel palazzo quando gli altri condomini accorsi sul luogo della tragedia non avevano avuto neanche il tempo di preservarla dalla scena, alla vista del corpo mormorò tra le lacrime: “Era molto stanco, demoralizzato“. A Giulio Einaudi, tre giorni prima di morire, aveva invece confessato di non riuscire ad andare avanti col libro su cui stava lavorando: “Non riesco più a scrivere“.
Il dentista Francesco Quaglia, che viveva nello stesso condominio, aggiunse: “Sapevo che Primo soffriva di depressione. (…) Si era isolato. Credo fosse molto preoccupato per le condizioni della madre. Ha 92 anni ed è stata colpita da ictus cerebrale“. Una versione alternativa a quella del suicidio, fu ripresa – senza particolari conferme – da un articolo del New York Times secondo cui Primo Levi cadde nella tromba delle scale non per un atto volontario ma per via di un tragico incidente causato dalle vertigini di cui notoriamente soffriva. Non a caso, sostengono i fautori di questa tesi, Levi non lasciò alcuna lettera d’addio.