Tenendo fede al ruolo che si è autoassegnato in queste drammatiche settimane, cioè di apripista nella lotta al coronavirus, Luca Zaia ha battuto un altro colpo. Dopo avere varato la zona rossa più rossa d’Italia, dopo avere lanciato la campagna dei tamponi a tappeto, dopo avere fatto registrare il rapporto più basso in Italia tra numero di positivi e numero di persone morte, il governatore del Veneto ha aperto un nuovo capitolo che si chiama test sierologico. Esami del sangue su larga scala non tanto per rintracciare i malati ma per individuare i sani, o meglio coloro che sono venuti a contatto con il virus senza però restarne contagiati o addirittura sconfiggendolo con gli anticorpi.
Di questi esami si è cominciato a parlare da qualche giorno sui giornali, ma la ricerca e gli studi vanno avanti da settimane. La prospettiva è chiara: individuare un modo per ripartire. Quando si allenterà la morsa della quarantena collettiva, i test potrebbero indicare chi è più resistente al virus e dunque è più in grado di altri di riprendere a lavorare.
Al tempo stesso, le prime verifiche saranno condotte sul personale sanitario, medici e infermieri, e nelle case di riposo, che si sono rivelati i focolai più virulenti di questa epidemia italiana. E potranno poi essere estesi alle figure professionali che si trovano sulla linea del fronte contro il Covid-19: chi ha già sviluppato un’immunità potrà operare con maggiore sicurezza e forse anche liberarsi dal vincolo del distanziamento sociale.
Su questa strada si stanno muovendo anche l’Emilia-Romagna, la Toscana, il Piemonte, mentre la Lombardia ha annunciato che avvierà una sperimentazione per comparare i test più diffusi in modo da individuare il più affidabile per poi applicarlo. In Veneto sono partiti prima e in base allo studio validato ieri dalla Regione si è già scelto il percorso da intraprendere. I test sierologici sono molto meno costosi dei tamponi, anche se non hanno la stessa capacità di individuare i positivi, e consentono di avere i risultati in brevissimo tempo, il che li rende uno strumento ideale per gli screening di massa.
I problemi pare si pongano, ancora una volta, nel rapporto con Roma. Il comitato tecnico-scientifico che supporta il governo, così come l’Istituto superiore di sanità, non li vedrebbe di buon occhio perché li ritiene imprecisi e inadatti allo scopo di individuare i malati. Non ci sarebbero sufficienti evidenze scientifiche sulla loro efficacia. C’è anche chi adombra una sorta di gelosia tra esperti virologi. In realtà, il tampone serve per scoprire chi ha contratto l’infezione, mentre il test sierologico chi ne è già immune.
In ogni caso, il tema di garantire una parziale riapertura in sicurezza del sistema Italia va affrontato. E non potranno bastare i palliativi costituiti dalle mance ai Comuni o i rinvii delle scadenze fiscali decisi dal governo, e immediatamente resi problematici dalla burocrazia italica.