Quando ci ritroveremo a tracciare un bilancio di questo sconfinato periodo di forzata clausura, privati del bene più grande (la libertà? No, il campionato e la Champions, mannaggia!), cosa riporremo nell’ideale valigia dei ricordi?
Guanti e mascherine, che non accantoneremo tanto presto? E i messaggini audio e video su whatsapp che ci hanno intasato il telefono, esaurito la memoria, mandato spesso in tilt il cellulare? E le code al supermercato, in fila per nome, per anno di nascita e per segno zodiacale (ascendente pazienza)? E il lunedì dell’Angelo (per i laici, di Pasquetta) più bello e caldo degli ultimi secoli (bisogna risalire alla peste del Manzoni per trovarne un altro simile)? E le bandiere tricolori su finestre e balconi che non si vedevano dal 2006 (“Lippi, Materazzi, andiamo a Berlino, Beppe!”…)? E i canti a squarciagola alla finestra (“Azzurro, il pomeriggio è troppo azzurro e lungo, per meee…”)? E lo smart working in giacca e cravatta (e i pantaloni del pigiama, che tanto basta non alzarsi dalla postazione e il capo non se ne accorge)? E le videochiamate in Zoom, Meet, Skype, Teams, Slacks, Classroom (ne abbiamo scaricate a mazzi, così che ciascuno di noi se ne ritrova almeno una dozzina sul proprio pc e/o tablet e/o smartphone)? Tutto ciò tra qualche mese (o se va male, tra qualche anno) sarà solo un ricordo che lo sbiadirsi del tempo e della memoria addolcirà in pensieri da e con lacrimuccia?
Nel frattempo la realtà fattuale incombe: chissà se il gergo, lo slang, il vernacolo para-scientifico che ognuno di noi ha cominciato ad attuare giorno dopo giorno lascerà tracce nel tempo e nella storia. Che fine faranno termini più o meno scientifici che abbiamo cominciato ad usare nel nostro parlare comune, dei quali ignoriamo pressoché completamente il significato? Qualche esempio: batterio, contagio, paziente zero, epidemia, comorbilità, pandemia, quarantena, infodemia, virus, sorveglianza digitale, tampone, distanziamento sociale, esame sierologico, molecola killer, curva epidemica, droplet…
Esaminati a fondo, al netto di qualche scrematura, un termine sembra emergere sopra gli altri, avere la meglio in un’ideale classifica degli idiomi, candidarsi a primeggiare nella hit parade scientifica di questi mesi: stiamo parlando della cosiddetta “immunità di gregge”.
Come dice lo Zingarelli, un vocabolario che sa tante cose perché ha avuto il privilegio di rubacchiarle qua e là in giro per il mondo mantenendo una salute di ferro, l’immunità di gregge non è, come potrebbe apparire a prima vista, “l’insieme di garanzie e l’esenzione da oneri, obblighi o doveri riservati esclusivamente alla famiglia Agnelli”, trattasi invece della “capacità di un gruppo di resistere all’attacco di un’infezione, verso la quale una grande proporzione dei membri del gruppo è immune”.
Il nostro sguardo stupito, colto dallo Zinga in videochat, lo ha reso improvvisamente loquace: “Voglio spiegarmi meglio, così che se lo afferrate anche voi, sono sicuro di essermi fatto capire da tutti. Si tratta di un meccanismo che si instaura all’interno di una comunità, per cui se la grande maggioranza degli individui è vaccinata, limita la circolazione di un agente infettivo, andando in questo modo a proteggere anche coloro che non possono sottoporsi a vaccinazione, magari per particolari problemi di salute. È un meccanismo fondamentale per ridurre la circolazione e la trasmissione di malattie infettive contagiose”.
Grande, Zinga, adesso sì che è tutto più chiaro (a voi lettori). Fine della chiamata. Eppure, guardandoci nelle palle degli occhi (per lo meno da ciò che riusciamo a percepire l’uno dell’altro, osservandoci con le nostre mascherine calate sul viso), qualche luminosa osservazione si fa largo nel caparbio buio della nostra insipienza:
1) non permetteremo a nessuno, e tanto meno a qualche No Vax ancora in circolazione, di darci dei pecoroni. Né a noi, né tanto meno ai nostri amati lettori;
2) parlare dell’immunità di gregge come fosse una questione di lana caprina porta male. Vedi cos’è toccato a Boris Johnson;
3) se dobbiamo tutti immunizzarci come delle pecore esponendoci al virus, almeno i nati sotto il segno dell’Ariete o del Capricorno possono farlo rimanendo a casa?
Detto questo, sarà sicuramente già capitato anche a voi di ascoltare persone (politici, giornalisti, scienziati, cantanti, influencer su Instagram…) che fanno confusione sull’argomento, generando termini apparentemente inspiegabili, nei quali con buona probabilità vi imbatterete, se già non vi siete incappati. Ve ne elenchiamo qualcuno, così che possiate rimanere immuni, dopo averne colto la possibile essenza intrinseca del suo significato, se mai ne avesse uno.
Immunità digitale di gregge. Si allude a un tanto immaginifico quanto complesso meccanismo algoritmico in base al quale le informazioni sulla propria identità digitale, unite al più alto numero di informazioni di altre singole identità, rende un sistema informatico inattaccabile da qualsiasi processo di identificazione, difendendo la salute digitale, oltre che la propria privacy, di ciascuno degli elementi del gruppo stesso.
Identità di gregge. Si immagina che possa essere la capacità di celare o mostrare, a seconda di un proprio vantaggio personale, i tratti peculiari che ci contraddistinguono. Esempio: è possibile nascondersi nell’identità (collettiva) di gregge al momento del pagamento di un’imposta, mentre è possibile svelarla all’atto di un risarcimento economico a nostro favore.
Indennità di gregge. Ipotesi praticabile, che tenderebbe a definire la somma da corrispondere doverosamente al prestatore d’opera a titolo di rimborso per spese in occasione di oneri o disagi connessi allo svolgimento della prestazione e/o della situazione. E quella attuale ben si presterebbe a un’indennità di gregge!
Un fitto e tremendo mistero attanaglia virologi, epidemiologi e infettivologi: a raggiungere l’immunità di gregge in Italia saranno solo gli abitanti di… Capri? Speriamo di no, facciamo le corna!