Un episodio di cronaca, che non sarà certo sfuggito ai nostri lettori, offre lo spunto per un breve racconto del doppio (anzi, vista la protagonista in gioco, un vero caso di Duplicity?): a ribadire, semmai ce ne fosse ancora bisogno, che la realtà ha molte storie da raccontare, forse anche della più sfrenata delle fantasie



Quando si svegliò, non si accorse subito che era mattino presto, e dapprincipio pensò di essersi assopita tra una pausa e l’altra sul set. Me l’avevano detto – confidò mentalmente a sé stessa – che, tra un’azione e l’altra, gli intervalli sono estenuanti, nel tennis. Poi ritrovò con le mani il suo letto, e le sue cose tutte intorno, confuse come solo lei le poteva disporre, in ordine rigorosamente sparso, ammonticchiate qua e là a casaccio, il “suo” scientifico casaccio. I lunghi capelli erano scompigliati e avvertiva una malavoglia addosso che in quel momento le calzava come un cappotto elegante: la ragazza che credeva di essere Julia Roberts non aveva ancora avuto modo di guardarsi allo specchio. Altrimenti, non si sarebbe poi trovata così somigliante, così “pretty woman”. La sua stanza, arredata con gusto ma (come detto) terribilmente disordinata, aveva la finestra orientata a est. La qual cosa permetteva al buio, nella penombra della stanza, di giocare a nascondino con la luce. Così, in un angolo del letto, non poté non notare un calzino bianco da uomo. Non ricordava di aver giocato, il giorno prima, un doppio misto. Un velo di inquietudine le attraversò il volto: “Sono stata a letto con il nemico o con il mio compagno di doppio?”. Non seppe darsi una risposta convincente e rassicurante.



La ragazza che credeva di essere Julia Roberts credeva fermamente di essere Julia Roberts? Non è che ci credeva: lo era; lei era Julia Roberts: punto. Ma lo credeva o lo era? Bella domanda, ma… c’è forse qualcuno tra voi lettori che non crede di essere se stesso? Ne dubitiamo. Ciascuno di noi non sta a pensare di essere se stesso, lo è! O crede fermamente di esserlo. Viviamo tutti come se fossimo una sorta di postulato matematico vivente, una molecola ben definita di una altrettanto complicata e lampante formula chimica; per definizione siamo scientificamente indimostrabili. Eppure dimostriamo, in primis a noi stessi, quotidianamente, di esistere, eccome! Ci conosciamo e veniamo riconosciuti momento per momento, day by day. E non abbiamo bisogno di essere convinti da chicchessia che siamo noi stessi: è già così intrinsecamente faticosa questa convivenza di corpo e anima che sfidiamo a trovare qualcuno con la capacità di mettersi in discussione fino al punto da farci dubitare di essere noi stessi. Ma ve lo immaginate? Convincere, convivere, convincersi, conviverci: sterili disquisizioni filosofiche che la ragazza che credeva di essere Julia Roberts non avrebbe mai preso in considerazione: esattamente come avremmo fatto noi al suo posto.



Quindi significa che basta percepirsi per essere? Che non esiste più realtà o finzione? E se la ragazza che credeva di essere Julia Roberts ci credeva davvero (e qui non abbiamo motivo di dubitarne) vuol dire che in fondo lo era veramente? Forse sì: solamente mentendo a sé stessa non lo sarebbe stata. O forse no: se credeva di essere Julia Roberts e non lo era, chi era, chi è allora veramente? E dunque, e soprattutto… cosa significa tutto ciò? Cosa ne ricaviamo noi poveri comuni mortali: forse che al mondo esistono due Julia Roberts? Quella vera e quella che crede di esserlo? E quale delle due è la più vera? Posto che ce ne sia una più vera dell’altra…

Una bella doccia. Ecco quello che ci voleva. La ragazza che credeva di essere Julia Roberts si riteneva libera da impegni, quel giorno. Il regista non l’avrebbe chiamata perché sarebbero state girate scene secondarie, che non prevedevano la sua partecipazione. Prima di infilarsi sotto l’acqua bollente, da lei considerata alla stregua di una coperta liquida, avvolgente e morbida, bevve un sorso d’acqua dal rubinetto. Sentì un particolare retrogusto, un po’ amaro e un po’ salato. Richiuse di colpo il miscelatore. “E se avessero contaminato le falde acquifere? Potrei magari ritrovarmi nei panni di Erin Brockovich…”. Intanto ebbe modo di guardarsi allo specchio, regalandosi un “Monna Lisa smile”, un sorriso rassicurante, come da tempo non le capitava. E finì per lasciarsi coccolare dal bagnoschiuma al cedro, il suo preferito.

Da dove veniamo? Dove siamo diretti? E perché siamo al mondo? Ma soprattutto chi siamo? A dipanare e disvelare queste domande ci mettiamo una vita, e molto spesso lasciamo questa esistenza carichi dei medesimi dubbi di partenza e, nel migliore dei casi, con qualche barlume di speranza a illuminare l’oscurità di un dopo tutt’altro che certo. Nell’aver raccontato solo qualche dettaglio, per lo più inventato, di una storia assai complicata, assurdamente reale e terribilmente vera, portiamo con noi tanti dubbi e una sola certezza: da qualche parte brillerà un barlume di ragione che giustifichi tanto impenetrabile mistero. E che dovunque si trovi la soluzione, che riguarda tanto noi come pure la ragazza che credeva di essere Julia Roberts, per non affidarsi al caso, per non disperare, saremo chiamati, quasi costretti, ad alzare in alto lo sguardo. Forse, solo allora, imprevedibilmente, capiremo. E tutto ci sarà più chiaro…