A Pozzuoli direbbero Parlaimm’ e nun ce capaimm’. Parliamo e non ci capiamo, con le vocali allargate fino a scoppiare. Così com’è scoppiata la polemica tra il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi e il sindaco di Bari Antonio Decaro. Il primo arruolato da tecnico in un governo di centrodestra, il secondo personalità di spicco del centrosinistra.



Piantedosi annuncia un’ispezione al capoluogo pugliese per verificare se ci siano infiltrazioni criminali in seguito a circostanze che poi chiariremo. Decaro grida allo scandalo, bollando la scelta come un’aggressione bella e buona che giunge a tre mesi dal voto europeo.

Il ministro spiega che non c’è alcuna intenzione punitiva ma è quasi un atto dovuto dopo l’arresto di circa cento persone implicate in una faccenda poco chiara relativa alla locale azienda dei trasporti. Il sindaco denuncia che si tratta invece della chiara e pericolosa volontà di arrivare allo scioglimento per mafia del Consiglio comunale e al conseguente commissariamento del suo municipio.



Piantedosi cerca di alleggerire la tensione affermando che nessuna decisione è stata ancora presa e che in fondo la verifica va a vantaggio degli amministratori onesti, che si vedrebbero così tutelati dall’autorità giudiziaria. Decaro ribatte che si tratta di un atto gravissimo e unico nella storia del Paese, che mira a destabilizzare la vita democratica della città affidata alla sua guida.

Il ministro rilascia rilascia comunicati che vorrebbero essere rassicuranti, il sindaco convoca conferenze stampa promettendo di rinunciare alla scorta se dovessero emergere sospetti sulla sua gestione.



Ora è abbastanza pacifico che entrambi gli attori abbiano a cuore il proprio incarico istituzionale (Decaro è anche presidente dell’Associazione dei comuni d’Italia) e che cerchino di assolvere i propri doveri con moderazione. Forse, se s’incontrassero per strada farebbero un pezzo di cammino insieme dialogando amabilmente.

Ma la politica è politica ed è anche così che si va manifestando: nel cogliere in ogni occasione il pretesto per alzare un polverone e fare polemica, ciascun contendente restando sordo alle ragioni dell’altro anche per dar soddisfazione agli elettori più intransigenti.

Tutto diventa estremo, in questa furia di conflitto permanente che ingrossa in superficie il mare delle relazioni, e lascia sul fondo il merito delle questioni, che inevitabilmente scompare dalla vista.

Appunto, come si diceva in premessa, Parlaimm’ e non ce capaimm’.

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