Dal punto di vista strettamente giuridico, le settimane trascorse dall’inizio della diffusione della pandemia sono costellate da una ormai numerosissima serie di atti adottati per farvi fronte. Il tutto a partire dalla deliberazione del Consiglio dei ministri del 31 gennaio 2020, con la quale, a seguito della dichiarazione dello stato di emergenza internazionale da parte dell’Oms per l’epidemia da Covid-19, è stato proclamato lo stato di emergenza per la durata di sei mesi e sono state messe in atto le prime misure di contenimento del contagio sull’intero territorio nazionale.



Recenti studi, anche assai autorevoli, parlano apertamente di una crisi ormai endemica del sistema delle fonti del nostro ordinamento, resa ancor più palese dalle vicende in esame. Una pregevole e assai ampia analisi, poi, ricostruisce la catena normativa dell’emergenza che si è determinata, partendo dalla Costituzione e dalle fonti primarie generali, passando dalla dichiarazione dello stato di emergenza, per arrivare ai decreti legge “emergenziali”, ai decreti del Presidente del Consiglio dei ministri, alle ordinanze del Capo del Dipartimento della Protezione civile, a ordinanze e provvedimenti ministeriali, senza contare le ordinanze regionali, prefettizie o sindacali. Sottolineando anche i rischi che si possono determinare una volta usciti dall’emergenza.



Senza voler qui entrare in aspetti così complessi e spinosi, ci si limiterà a qualche breve considerazione sull’ennesimo anello di questa catena dell’emergenza, costituito dall’istituzione, presso la Presidenza del Consiglio dei ministri, di un Comitato di esperti in materia economica e sociale con il compito di elaborare e proporre al Presidente del Consiglio misure necessarie per fronteggiare l’emergenza epidemiologica Covid-19, nonché per la ripresa graduale nei diversi settori delle attività sociali, economiche e produttive, anche attraverso l’individuazione di nuovi modelli organizzativi e relazionali, che tengano conto delle esigenze di contenimento e prevenzione dell’emergenza.



Si tratta del Comitato (denominato anche “task force per la fase 2”) annunciato dal presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, nella conferenza stampa del 10 aprile, che sarà presieduto da Vittorio Colao, dirigente d’azienda. Ne faranno parte altri 16 componenti, e vi saranno altresì, quali componenti di diritto, il Commissario straordinario del Governo per l’attuazione e il coordinamento delle misure occorrenti per il contenimento e il contrasto dell’emergenza epidemiologica da Covid–19, Domenico Arcuri, e il Capo del Dipartimento della Protezione civile, Angelo Borrelli.

Quanto ai 16 componenti, in netta prevalenza uomini, si tratta di “autorevoli esperti con elevate e qualificate competenze ed esperienze professionali in diversi settori” (come recitano le premesse del decreto), che spaziano dalla psicologia alla innovazione, dall’economia al diritto del lavoro, dalla statistica alle disabilità e alla salute mentale, dalla contabilità alla sociologia economica.

Quanto ai due membri di diritto, è evidente la finalità di consentire che il Comitato operi in collegamento con il Dipartimento della Protezione civile e più in generale con gli altri organi governativi o di supporto tecnico individuati o istituiti per far fronte all’emergenza.

Due brevi osservazioni al riguardo. La prima. I settori su cui insistono gli esperti investono a tutto raggio l’ambito sociale, economico e produttivo del Paese. Essi, poi, ne riferiranno al Presidente del Consiglio e con ciò si rende ancor più evidente la sottolineatura, valida in tutta questa fase, del ruolo del vertice dell’Esecutivo, con il pericolo di una qualche marginalizzazione dell’organo collegiale (il Consiglio dei ministri) e delle responsabilità dei singoli ministri. La presenza, tra i componenti del Comitato, di alcuni consiglieri del Presidente del Consiglio sembra rafforzare questo elemento.

La seconda. Le situazioni di emergenza tendono a giustificare, in generale, opzioni a favore di soluzioni straordinarie e derogatorie, che vanno dalle fonti del diritto utilizzate alle strutture di cui avvalersi. Ma viene un po’ da chiedersi se già non vi fossero, tra le strutture ordinarie, organi o personalità adatti allo scopo, con adeguate competenze ed esperienze.

E tornano alla mente quei disegni di legge per cancellare organi del sistema (si pensi, ad esempio, al Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro, che per Costituzione sarebbe anche organo di consulenza del Governo…) che anche nella presente legislatura vanno impegnando il Parlamento in tentativi di revisione costituzionale.

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