L’Unione europea porta avanti un piano contro la crisi climatica che prevede maggiore trasparenza, ma con strumenti che non convincono del tutto. Ad esempio, la Commissione europea ha adottato gli standard europei di rendicontazione sulla sostenibilità (ESRS) che devono essere usati da tutte le società soggette alla direttiva sulla rendicontazione della sostenibilità delle imprese, ritenendolo un passo avanti nella transizione verso un’economia europea sostenibile. Decine di migliaia di aziende che operano in Europa devono rispettare nuovi obblighi di rendicontazione degli impatti ESG delle loro attività. Si tratta di uno strumento che consente la misurazione del livello di sostenibilità di un’azienda. Parliamo di 12 standard che coprono l’intera gamma di questioni ambientali, sociali e di governance, tra cui i cambiamenti climatici, la biodiversità e i diritti umani. La Commissione europea ha annunciato, infatti, di aver adottato una lista di controllo che le aziende devono usare per comunicare gli effetti del cambiamento climatico e di altri fattori ambientali e sociali sulle loro attività, ma anche per riferire il loro impatto nei luoghi in cui operano.



Come evidenziato da Bloomberg, i nuovi standard europei di rendicontazione della sostenibilità sono il meccanismo di attuazione della direttiva UE sulla rendicontazione della sostenibilità aziendale, la prima iniziativa a livello globale ad adottare il cosiddetto approccio della doppia materialità. L’intento è lodevole, ma c’è chi lamenta che i criteri ESG siano difficilmente misurabili e spesso usati per avvantaggiare o svantaggiare determinate aziende. Mirjam Wolfrum, direttore dell’impegno politico dell’UE presso CDP, organizzazione no-profit che gestisce uno dei maggiori sistemi di divulgazione volontaria al mondo, parla invece di «alba di una nuova era di responsabilità ambientale nella pianificazione aziendale e finanziaria», perché «con circa 50mila aziende ora obbligate a redigere un rapporto sulla sostenibilità, questi standard sono un passo fondamentale per rendere il reporting ambientale di alta qualità una norma aziendale».



ESG E NUOVE REGOLE: “PRESSIONI INDUSTRIA SU UE”

La decisione arriva dopo che i gestori patrimoniali e investitori avevano lanciato un appello alla Commissione europea per rendere più severa la sua proposta. Parole cadute nel vuoto. Le regole, infatti, si applicano sia alle società non finanziarie che a quelle finanziarie e non sono in linea con i requisiti di rendicontazione più severi per le società finanziarie. In particolare, spiega Bloomberg, alle società è stata concessa troppa libertà di decidere cosa divulgare nel tentativo di ridurre gli oneri di rendicontazione. «Ci dispiace che le richieste degli investitori di mantenere gli indicatori ESG chiave come obbligatori non siano state ascoltate», dichiara Aleksandra Palinska, direttore esecutivo dell’European Sustainable Investment Forum (Eurosif). Inoltre, sottolinea che «gli investitori hanno bisogno di informazioni aziendali specifiche per allocare il capitale», in linea con gli obiettivi ambientali dell’Unione europea e per soddisfare i requisiti di rendicontazione del settore finanziario.



Dunque, la Commissione europea ha deciso di lasciare che siano le aziende a decidere quali informazioni sul clima siano rilevanti da comunicare. Secondo il gruppo di esperti indipendenti E3G, l’Unione europea ha ceduto alle pressioni dell’industria. «Sotto pressione, la Commissione ha fatto marcia indietro sulla divulgazione obbligatoria delle informazioni sul clima. Questa flessibilità percepita sui requisiti di divulgazione andrà a scapito di una migliore disponibilità e comparabilità dei dati, ostacolando seriamente la creazione di un quadro di rendicontazione della sostenibilità preciso e affidabile», commenta Tsvetelina Kuzmanova, senior policy advisor di E3G.

“REGOLE TROPPO SEVERE SAREBBERO PERICOLOSE”

La Commissione ha ammesso di aver ridotto l’obbligo di rendicontazione, precisando però che le aziende dovranno condurre valutazioni di rilevanza per identificare ciò che devono comunicare. Queste valutazioni non sono volontarie e devono essere verificate da una terza parte. Pertanto, le aziende dovranno fornire «una spiegazione dettagliata» del motivo per il quale, ad esempio, il cambiamento climatico non è rilevante per le loro attività, mentre ha «impatti sistemici e di ampia portata in tutta l’economia». Per Mairead McGuinness, commissario per i servizi finanziari, gli standard adottati «sono ambiziosi e rappresentano uno strumento importante a sostegno del programma di finanza sostenibile dell’UE». A luglio aveva messo in guardia dai rischi di regole di rendicontazione troppo severe, perché avrebbero potuto ritorcersi contro e portare a un «significativo contraccolpo».

Le aziende dovranno dichiarare se hanno piani di transizione climatica e riportare anche i fattori sociali rilevanti, come le violazioni dei diritti umani, come parte di un piano più ampio per evidenziare i rischi e le opportunità di investimento presentati dai fattori ESG. «Gli standard raggiungono il giusto equilibrio tra la limitazione dell’onere per le società di reporting e la possibilità di mostrare gli sforzi che stanno compiendo per soddisfare l’agenda del Green Deal. Questo garantirà loro l’accesso ai finanziamenti», rivendica McGuinness. Le regole, comunque, saranno introdotte gradualmente. Le grandi aziende, infatti, dovranno pubblicare i primi rapporti nel 2025, sulla base dei dati del 2024, invece le aziende più piccole avranno più tempo. È inoltre previsto che le autorità dell’Ue sviluppino requisiti di divulgazione specifici per ogni settore.