“La competenza digitale? Dovrebbe essere considerata come competenza di cittadinanza. Oggi chi non è in grado di saper usare un cellulare o di affrontare con un minimo di sapere digitale situazioni quotidiane (acquistare un biglietto del treno o dell’autobus, prenotare una visita medica, richiedere documenti alla Pubblica amministrazione e quant’altro) vive in un contesto arretrato e con garanzie di cittadinanza diminuite. Dobbiamo fare in modo che le competenze digitali siano considerate come una necessità e non un’opzione, e fare scelte come quando, agli inizi degli anni Sessanta, si introdusse la scuola media inferiore obbligatoria per tutti. La competenza digitale è da considerarsi, ormai, una competenza di cittadinanza”. Ci crede fermamente Gianni Potti, l’imprenditore della comunicazione e del digitale (è presidente della Fondazione Comunica) che non a caso è anche founder di Digital Meet, il festival nazionale per l’alfabetizzazione del digitale, che ha appena concluso la sua undicesima edizione.
Un tempo il maestro Alberto Manzi combatteva in tv l’analfabetismo ancora diffuso in Italia, sostenendo che “non è mai troppo tardi”. Oggi il Digital Meet combatte l’insipienza digitale di città in città. Ma non sarà troppo tardi, Potti?
Io ho lanciato l’idea (come quando fu introdotta la scuola dell’obbligo) di introdurre nelle scuole italiane l’insegnamento delle competenze digitali, affiancato dai corsi di recupero per gli adulti. Comunque, in dieci anni ho visto formarsi importanti progressi nell’alfabetizzazione digitale di cittadini e imprese, con una consolidata rete di utenti raggiunti: circa un milione, con oltre 3.000 speakers coinvolti, un migliaio di eventi proposti in tutta Italia e centinaia di partner. Ogni anno si sono aggiunti al Festival digitale nuovi territori, fino a raggiungere tutte le regioni italiane. È con molta soddisfazione che abbiamo traguardato i primi dieci anni e ora continuiamo con più decisione nel nostro obiettivo di unire i diversi tessuti imprenditoriali e sociali del Paese nel dare nuovo slancio alla diffusione della ricerca scientifica e tecnologica e all’implementazione di nuove tecnologie. Tutto questo è reso possibile grazie al lavoro, soprattutto volontario, di tantissime persone: dal comitato scientifico alle sezioni regionali di Fondazione Comunica, dagli “Ambassador” e “Digital Evangelist” sparsi per tutta Italia e che sono l’anima del Festival, dediti alla divulgazione e alla condivisione diffusa del sapere digitale.
Può chiarire, sintetizzando, l’attività del festival?
Digital Meet (che è stato presentato a Roma dal senatore Antonio De Poli) è un luogo di incontri, eventi, approfondimenti legati al mondo del digitale, dell’ICT e del web. Quattro giorni per invadere pacificamente le città – di Veneto, Friuli Venezia Giulia, Trentino Alto Adige, Emilia Romagna, Lombardia, Liguria, Lazio, Piemonte, Valle d’Aosta, Marche, Abruzzo, Umbria, Campania, Sicilia, Basilicata, Calabria – con una cultura del digitale finalmente alla portata di tutti. Un digitale capace di semplificare le nostre vite, di far crescere le aziende del territorio, di contribuire alla costruzione di una nuova economia. Lontano dai classici appuntamenti dove la teoria supera abbondantemente la pratica: il nostro festival vuole ribaltare il tavolo e mostrare in che modo il digitale cambia la vita e l’economia.
Secondo lei, senza parlare di nuovi luddismi, ci sono comunque ancora resistenze culturali?
Direi di sì, ma frutto della non conoscenza. Digital Meet è portatore di un approccio friendly alla digitalizzazione e alla diffusione dell’Intelligenza artificiale: per diffondere le competenze digitali non bisogna averne paura. Tema portante di quest’ultima edizione è stato “Dal Commodore 64 all’Intelligenza artificiale fino al Metaverso“, ovvero come abbiamo imparato dai vecchi computer a fare cose elementari che allora sembravano mirabolanti, a come continueremo a utilizzare sempre nuove soluzioni per lo sviluppo umano. Quest’anno, dalla Campania alla Valle d’Aosta, dal Lazio al Veneto, dall’Emilia-Romagna alla Basilicata, abbiamo organizzato oltre 130 eventi con 220 relatori, che hanno affrontato i vari temi, esemplificando l’impiego del digitale nella sanità, nella pubblica amministrazione, nelle aziende e nella formazione. Ma anche come tutto questo viene gestito e vissuto nei diversi continenti. Abbiamo anche approfondito lo stato delle cose in Asia, attraverso dialoghi con i principali esperti di sicurezza informatica e IA provenienti dalla Cina, dall’India, dall’Australia e da Taiwan.
Può citare gli appuntamenti più significativi dell’edizione del DM appena conclusa?
Ovviamente, gli oltre 130 eventi organizzati in tutt’Italia, con 250 relatori e diecimila partecipanti, sono stati tutti importanti. Ad esempio “Metaverso e AI: sfide e opportunità” (Roma), la lezione magistrale “5.0” di Federico Faggin, lo scienziato cui si deve l’invenzione del primo microprocessore al mondo, che ha attirato al teatro Olimpico di Vicenza più di 650 persone, l’illustrazione di casi pratici di “Smart city” (Bologna), l’incontro su “Memoria e tecnologia” (Arezzo), o “Society 5.0: tecnologie, reingegnerizzazione e digitalizzazione dei processi per valorizzare il capitale umano” (Salerno). La conclusione è stata a Firenze, con il Gabinetto Scientifico Letterario G.P. Vieusseux e il convegno sul tema “Intelligenza artificiale e cultura”.
Oggi sta serpeggiando un’incertezza timorosa su quanto potrebbe accadere con l’evolversi dell’intelligenza artificiale. Lei cosa prevede?
Abbiamo affrontato l’argomento con “Surfing in the Future”, una panoramica condotta nell’ambito del nuovo paradigma tecnologico di “Umanesimo digitale”, un concetto che rimette al centro l’uomo nella consapevolezza acquisita che la macchina deve essere al servizio dell’umanità. I temi sono complessi e articolati, ma sono stati affrontati con dialoghi che hanno semplificato gli argomenti e sintetizzato le questioni più dibattute da scienziati, operatori e persone comuni. In ogni caso l’intelligenza artificiale sta facendo passi da gigante in tutti i campi: dalla gestione e interpretazione dei big data ai chatbot e virtual assistant, dal recruiting al suggeritore di film e serie tv, fino ai prossimi veicoli a guida autonoma e chissà cos’altro. Finora vi era una sorta di tabù: solo l’uomo poteva, con un mix di creatività e tecnica, scrivere una storia, una lettera, una poesia e solo un giornalista o blogger un articolo o post. E invece i progressi degli ultimi anni (vedi GPT-3), e la sperimentazione sul campo (da anni le redazioni usano algoritmi per scrivere news e articoli), permettono a chiunque di avere un (virtual) ghost writer. Certo, sempre a determinate condizioni.
Nell’ambito del DM è stato anche redatto un manifesto. Di cosa si tratta?
Del “Manifesto di Piediluco” (dal nome della località umbra dove ci siamo riuniti), un documento che contiene le linee programmatiche per sostenere la trasformazione digitale del Paese agendo sulla diffusione delle tecnologie e sullo sviluppo delle competenze digitali per tutte le fasce della popolazione. Il nostro obiettivo è passare dall’educazione di massa a un’educazione su misura per ogni studentessa e studente, ordinata rispetto a un quadro di riferimento internazionale e nazionale. Assisteremo a un’evoluzione del concetto di Stem (Science, technology, engineering and mathematics) a quello di Steam (Science, technology, engineering, arts and mathematics) e a un incremento della richiesta di queste competenze da parte delle imprese.
(Alberto Beggiolini)
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