Così anche l’ex ministro dell’Università Gaetano Manfredi si aggiunge alla lunga lista di coloro che hanno “rinunciato” alla candidatura a sindaco della propria città. Nulla di nuovo, del resto lo avevamo già detto che il mestiere di sindaco non piace più. Quello che però colpisce è il contenuto della lettera che Manfredi, appena presa la decisione, ha diffuso ieri a tutta la stampa cittadina. O meglio, il nesso che egli stabilisce tra l’ammissione esplicita che il Comune di Napoli è ormai fallito e l’inutilità del ruolo del sindaco, al cui posto lui vedrebbe al massimo un buon commissario liquidatore.
Da quando l’Unione Europea ha sciolto i cordoni della borsa e – causa pandemia – gli Stati hanno ripreso a spendere senza più alcun limite di spesa, i comuni italiani sono finiti in una situazione a dir poco imbarazzante. Pur vedendo erogare – in particolare tramite le regioni – fiumi di denaro in ristori e sostegni, le loro casse si sono progressivamente svuotate. Senza contare che il peso di un enorme debito accumulato negli anni precedenti ha ridotto gli spazi di investimento della finanza locale trasformando i nostri comuni in qualcosa di simile ad un condominio.
La storia del Comune di Napoli è esemplificativa della situazione generale dello stato dei comuni del Sud, ma è anche la testimonianza di un malgoverno che in questi anni ha rasentato l’irresponsabilità.
Partiamo da un dato oggettivo. Napoli ha perso in circa 20 anni oltre 200mila abitanti. Si dovrebbe parlare di una vera e propria fuga dalla città. Il suo Pil ha subito una contrazione ragguardevole, la crescita del reddito procapite è stata pari a zero, e le cose non migliorano anche se vogliamo considerare il peso dell’economia sommersa. Molto di questo reddito è stato poi speso per mandare i figli a studiare altrove, per andarsi a curare negli ospedali del Nord, per far fronte privatamente all’inesistenza di quasi tutti i servizi primari pubblici.
La città ha poi dilapidato il proprio patrimonio di beni e servizi da cui poteva trarre qualche beneficio. Facciamo qualche esempio: i rifiuti napoletani bruciati ogni anno (1.700 tonnellate al giorno) nell’inceneritore di Acerra producono circa 45 milioni di utili, che però finiscono nelle casse di A2A e di conseguenza nei bilanci dei comuni di Milano e Brescia. Le ricche parcelle derivanti dalla progettazione della metropolitana cittadina (in costruzione dal 1978 e ancora non finita!) arrivano nelle casse della MM, Metropolitane Milanesi, che così stacca ogni anno altri ricchi utili per il comune di Sala. Per non parlare dell’aeroporto, venduto per pochi soldi alla BBA nel 1996, passato più volte di mano fino ad essere oggi posseduto dal fondo F2i, che ha potuto ricavato ricchi utili (circa 6 milioni) prima della pandemia.
In compenso ciò che è rimasto nel portafoglio del Comune è poco più che un ammasso di debiti. L’azienda di trasporti cittadina ANM è in concordato preventivo, quella che gestisce l’acqua ABC non fa un euro di utile, e quella che si occupa dei servizi sta per portare i libri in tribunale.
Il sindaco uscente de Magistris dichiara circa 2 miliardi e 300 milioni di debiti, sostenendo che quasi un miliardo lo ha ereditato dalle giunte precedenti di Bassolino e Iervolino, e il resto lo intesta ad una sorta di “debito ingiusto”, cioè derivante dal dissesto dichiarato nel 1993 e dai contenziosi persi risalenti al terremoto dell’80 e agli anni successivi.
I consulenti che hanno lavorato in questi giorni per conto di Manfredi valutano invece il debito assai più alto. Dopo aver pulito il bilancio da una consistente massa di crediti ormai inesigibili, il deficit secondo questi tecnici arriverebbe a 5 miliardi di euro. Spaventato da questa montagna di debiti, Manfredi quindi ha rinunciato alla candidatura e di fatto ha aperto la strada verso una nuova dichiarazione di dissesto.
Il governo Draghi ha intenzione di correre ai ripari. Si preannuncia in settimana un provvedimento che dovrebbe riconsentire ai comuni di spalmare i debiti su un periodo molto più lungo, creare un fondo da cui attingere per fronteggiare le situazioni più spinose, ed infine avviare le procedure per un finanziamento straordinario per le città in maggiori difficoltà, che sono Napoli, Torino e Palermo.
Basterà questo provvedimento per far cambiare opinione a Manfredi? Sembra però che qualcosa si sia rotto in maniera definitiva tra la nascente alleanza costituita tra Pd e M5s, sottoscritta pochi giorno fa in un bar di Posillipo, e l’ex rettore della Federico II. Non è piaciuta a molti la mancanza di coraggio e la sottovalutazione di cosa può fare un sindaco per la sua città. Meglio scegliere allora un combattente che non si arrende di fronte alle difficoltà, qualcuno disposto ad accettare “con onore e disciplina” l’invito a guidare la coalizione.
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