Convivono da decenni con i segnali elettromagnetici dei telefonini di seconda, terza e quarta generazione, ma non si fidano della tecnologia 5G e così decidono di vietarla nel proprio comune. Sono una ventina i sindaci d’Italia i quali in nome della salute dei propri concittadini hanno emanato un’ordinanza per vietare l’installazione del nuovo sistema di trasmissione la cui asta di assegnazione delle frequenze ha fruttato alle casse pubbliche circa 6,5 miliardi. Questo gruppo di primi cittadini è solo l’avanguardia di una mobilitazione più ampia. Si contano già oltre 165 gli atti a livello comunale, provinciale, regionale e parlamentare, che chiedono una moratoria sostenuti dall’immancabile comitato Stop5G che si batte per fermare lo “tsunami elettromagnetico del 5G”.



L’arsenale per alimentare preoccupazione e instillare paura verso le reti di nuova generazione è quello collaudato dell’allarmismo vago che ha funzionato dagli ogm ai vaccini. Si ricorre alla disinformazione, come la notizia della morte improvvisa di 297 uccelli nel parco olandese di Huijegenspark a seguito di una sperimentazione di tecnologia 5G (mai avvenuta), si prediligono espressioni minacciose dal sapore retrò di Guerra Fredda come la “proliferazione di antenne”, l’Apocalisse 5G, ecc. e complice la diffusa ignoranza tecnico-scientifica, sostituisce disinvoltura il termine radiofrequenza con radiazioni tanto per suggerire un (inesistente) parallelismo con il pericolo atomico.



Ora c’è da sapere che dagli studi epidemiologici e sperimentali condotti finora non sono emerse delle prove scientifiche di rischi per la salute. Questo quadro rassicurante è stato illustrato anche al Parlamento dal primo ricercatore dell’Istituto Superiore di Sanità e confermato all’unanimità da altri titolati organismi scientifici nazionali e internazionali a partire dall’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale alla Commissione Internazionale per la Protezione dalle Radiazioni Non Ionizzanti. Dei 50 studi sperimentali condotti su topi di laboratorio al fine di evidenziare associazioni significative tra l’esposizione a campi elettromagnetici a radiofrequenza e un’aumentata insorgenza di tumori, i due unici studi, lo statunitense NTP e quello dell’Istituto Ramazzini, che evidenziano un incremento di un particolare tipo di tumore del cuore, hanno tuttavia sollevato dubbi interpretativi sia per gli aspetti poco chiari di esposizione degli animali alle sorgenti di radiofrequenza che per la non coerenza dei risultati tra loro.



Difettando di evidenze scientifiche, l’Alleanza Italiana contro il 5G ripiega sulla carta intimidatoria inviando ai sindaci dei comuni con una via preferenziale nello sviluppo del 5G, una lettera in cui li diffida a esporre i concittadini a quello che l’agenzia internazionale per la ricerca sul cancro AIRC, massima autorità in materia, ha indicato con un “possibile rischio cancerogeno”. L’inganno sta nel non precisare che l’inserimento dei campi elettromagnetici nel gruppo 2B quelli con limitata evidenza, significhi collocarli in fondo alla classifica AIRC degli agenti cancerogeni. Per fare un raffronto, i campi elettromagnetici a radiofrequenze sono “possibilmente cancerogeni” quanto possono esserlo l’estratto di Aloa vera, il talco in polvere o gli scarichi dei motori a benzina. Si trovano sotto la categoria 2A che raggruppa gli agenti “probabilmente cancerogeni” tra cui anche il consumo di carne rossa. Mentre fumare, bere troppo, prendere la tintarella senza precauzioni o anche solo respirare il radon, gas radioattivo che si ristagna comunemente nelle abitazioni, si collocano al massimo gradino di rischio per l’insorgenza di tumori negli umani: il gruppo 1 ben più pericoloso dell’elettrosmog demonizzato.

Va bene, ma si obietterà che l’infrastruttura 5G utilizzata principalmente per far comunicare gli oggetti connessi: dalle autovetture a guida autonoma agli interventi chirurgici a distanza, necessita di un elevato numero di ripetitori per servire la copertura di aree dal raggio anche di pochi metri. Più sono le antenne, più si può abbassare la potenza emessa da ciascuna. Si parla di onde millimetriche come quelle dei body scanner degli aeroporti.

Ancora dubbiosi? Sappiate allora che in Italia per legge, la soglia di esposizione è 10 volte più bassa delle raccomandazioni europee: 6V/m contro 61V/m. E sono gli stessi limiti vigenti da 18 anni alle reti 4G,3G e 2G. Possiamo rinunciare al nuovo standard? Sì se vogliamo a privare i cittadini dei benefici di una smart city. Un esempio fra tanti. Nei comuni che dicono no al 5G non si potranno installare i sensori nei semafori per regolare i flussi in base al traffico e migliorare non solo la viabilità ma anche la sicurezza stradale. Con il paradosso di accentuare il digital divide quando, un domani, i servizi 5G saranno disponibili più diffusamente sul territorio nazionale, il comune senza 5G è limitrofo ad altri comuni dove al contrario i servizi 5G saranno disponibili.