Il 13 febbraio l’Unesco ha celebrato il 110° anno di nascita della radio, che risulta essere ancora il mezzo di comunicazione più ascoltato nel mondo. Ma non si è potuto festeggiare ovunque. In Ungheria è stata chiusa Klubradio, l’unica emittente rimasta, in quel Paese, a trasmettere dei contenuti di dissenso. La Cina ha sospeso la licenza alla BBC, ritenuta addirittura sovversiva. Nel bene e nel male, le tecniche di comunicazione sono ovunque protagoniste.
Nel processo per il secondo tentativo di impeachment dell’ex Presidente Trump, l’accusa ha presentato un montaggio video con accostamenti temporali tecnicamente arbitrari, che è stato diffuso con grande insistenza in tutto il mondo. Uguale diffusione non è stata data al video presentato dalla difesa, in cui si dimostrava come con la stessa tecnica di montaggio, affermazioni simili fatte da leader democratici potevano egualmente risultare un incitamento alla violenza.
Osservando cosa e come si comunica nei più diversi paesi del mondo, ci riscopriamo protagonisti ora de Il mondo nuovo di Huxley, ora della Fattoria degli animali di Orwell.
Mentre Putin minaccia gravi ritorsioni contro l’Ue che gli chiede di liberare il suo avversario politico Navalny, Erdogan fa arrestare ogni giorno studenti che protestano per le interferenze del Governo nella nomina del Rettore dell’Università di Istanbul. L’ex-premier Matteo Renzi paragona “il Rinascimento” dell’Arabia Saudita a quello della Firenze che fu, nonostante il principe Bin Salman sia stato unanimemente considerato il mandante dell’assassinio del giornalista Jamal Kashoggi, e nel suo Paese siano tuttora in vigore gravi limitazioni dei diritti delle donne e dei lavoratori. Per questi motivi il ministro degli Esteri Luigi Di Maio ha sospeso la vendita di armi all’Arabia Saudita, senza però fare una piega per le sempre più chiare responsabilità dei Servizi segreti egiziani nell’assassinio di Giulio Regeni: consentendo a Fincantieri di consegnare all’Egitto due Fregate, 20 pattugliatori, 24 caccia, 20 velivoli da addestramento e addirittura un satellite da osservazione.
Tanto poi ci pensano i tipi come Casalino a dire e a non dire, e a proporre ai diversi media la versione che i tecnici definiscono elegantemente la vulgata mainstream. Perso il ruolo di grande suggeritore al seguito del Presidente Conte, ce lo siamo ritrovato a concionare e a sguazzare nella sempre più indigesta insalata russa di alcuni salotti televisivi, mentre sulla grande stampa impazzavano i toto-ministri e gli immancabili retroscena, che in realtà sono dei banalissimi pettegolezzi o delle assai interessate promozioni di autocandidature. Colmo dei colmi, Casalino ha dichiarato all’Ansa che i discorsi di Draghi alle Camere “erano senza empatia e pativano la mancanza dell’intervento di un esperto di comunicazione“. Meno male. Sarà per questo che l’ultimo sondaggio di Monitor Italia dà a Draghi un gradimento del 61% contro il 34,4% di Conte. Sic transit gloria mundi.
La disruption provocata da Draghi, come dicono i sociologi, sta creando grande disorientamento nei giornalisti nostrani, improvvisamente privati delle soffiate pilotate o malamente mascherate con penose e reiterate allocuzioni tipo “Renzi dice ai suoi“. Clamorose cadute di stile denotano poi a chiare lettere il travaso di bile di chi provava gran gusto nel fare un giornale di lotta e di potere.
Se il saggio afferma che i politici non sono migliori dei loro elettori, possiamo pure dire che i giornalisti non sono migliori dei loro lettori. Che sono poi gli stessi che sui social difendono a oltranza l’ex presidente Conte, abile affabulatore e veloce trasformista, rimpiangendolo per il suo bon ton. Cose da non credere.
Del nuovo presidente Draghi si celebra in genere la sobrietà, ma sotto sotto c’è in giro nelle redazioni molta preoccupazione per una sua frase, sfuggita ai più: “Non abbiamo fatto ancora niente, quindi non abbiamo niente da comunicare“. Chapeau.
In realtà, ben più di qualcosa Draghi lo ha detto in Senato, e di molto importante: “Uscire dalla crisi non è come riaccendere la luce per riprendere come prima. Sarebbe un errore proteggere indifferentemente tutte le attività economiche. Molte dovranno cambiare, anche radicalmente“. E ha accennato alla riconversione industriale che è seguita alla Grande Guerra, che è una faccenda da far tremare le vene dei polsi, perché richiede ristrutturazioni, inversioni di rotta, aggiornamento e formazione, cambi di paradigma, flessibilità, coraggio, lagrime e sangue. Attività e sentimenti che nemmeno le grandi e piccole aziende private sanno più frequentare, avvelenate come sono dai big della consulenza che sanno solo offrire a tutti le stesse identiche ricette fordiste-tayloriste in ogni parte del globo.
Anche per questi motivi il paese si ritrova del tutto impreparato. Anche perché il Governo Conte ha sempre insistito sull’obiettivo di “riaccendere la luce” proponendo come unica via d’uscita il lockdown, i vaccini e i ristori, ignorando la prevenzione e le cure precoci, come suggerito dall’Istituto Mario Negri e da una rete di coscienziosi medici di base che hanno saputo “prendersi cura” sul serio dei propri pazienti, evitando ricoveri in terapia intensiva e i relativi decessi.
Stupisce non poco, in proposito, che il consigliere del Ministro della Sanità, il Prof. Ricciardi, imperversi di continuo con le proprie severissime tesi su giornali e tv, quando il suo ruolo gli imporrebbe di parlare riservatamente all’orecchio del Ministro. E basta. Non ho autorità per discutere i suoi argomenti, ma ho le competenze adeguate per giudicare inopportuno un modo di comunicare del tutto fuori dalle righe.
Recentemente l’Osservatorio Europeo sulla Mortalità, EuroMomo, ha riportato che la media europea di gennaio delle morti in tutta Europa per ogni causa risultava inferiore a quella dei precedenti tre anni. Ma come…? Se è così c’è più di qualcosa che non torna, e quindi si sente il bisogno di una comunicazione asciutta e sensata, come quella che sembra prediligere il neo-presidente Draghi. Che non ha nemmeno ancora incassato dalle due Camere la prevedibile fiducia, e già gli si chiedono miracoli, oppure gli si imputano le vere e proprie cattiverie (vedi stop-and-go alle stazioni sciistiche) inevitabilmente ereditate dal governo precedente.
Il Presidente Mattarella aveva parlato di un “governo di alto profilo“, mentre ci ritroviamo sulla tolda di comando molti responsabili di altrettanti errori, oltre che imbarazzanti pasticcioni (è un eufemismo) come il super Commissario a tutto. Probabilmente non si poteva fare diversamente pur di consentire a Draghi di circondarsi di un manipolo di fidati esperti nei ministeri chiave. Inoltre, si sa, il meglio è nemico del bene.
Ma in assenza della farraginosa, confusa e dannosa comunicazione che ci è stata ammannita, nel nuovo e salutare silenzio farebbe tanto bene al morale un bel segnale di pulizia, anzi, di decenza.
Così da poterci rimboccare tutti le maniche con maggiore entusiasmo.
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