«I cristiani devono resistere al ritorno del comunismo in questo mondo»: ha dell’apocalittico il tono utilizzato dallo scrittore Rod Dreher, uno dei pensatori più originali e più “odiati” dal mainstream politically correct d’Oltreoceano. Intervistato da Francesco Borgonovo per la “Verità”, il saggista americano riflette sulla crisi del pensiero cristiano e in generale dell’Occidente davanti all’emergere in maniera sempre più netta di un “liberalismo Usa” che somiglia sempre più ad una “riedizione” dell’Unione Sovietica, piuttosto che la culla della libertà.



«Ho incontrato persone che hanno vissuto sotto il comunismo», spiega Dreher illustrando il ultimo libro “La resistenza dei cristiani. Manuale per fedeli dissidenti”, e nessuno ovviamente ritiene che oggi vi sia il ritorno dei gulag, della polizia segreta o di quant’altro: è un’altra la traccia comune, «Quello che vedono è un impegno della sinistra militante a creare una società perfetta, una sorta di utopia. La sinistra spinge una visione politica che avvolge ogni angolo dell’esistenza: negli Stati Uniti non si parla d’altro che di coscienza razziale e di gender». Nella società comunista russa – e in generale nei totalitarismi marxisti – ogni ambito della società doveva essere orientato «alla rivoluzione»: ecco, sostiene lo scrittore, «oggi in Usa succede lo stesso con l’ideologia gender» che ad esempio fa scrivere ad una ben nota azienda di cereali sulle proprie confezioni «iniziative per bimbi ispirate all’ideologia LGBT dove si invitano i piccoli a inventare i loro pronomi».



DREHER: “GESÙ VOLEVA DISCEPOLI, NON AMMIRATORI”

Un tempo era l’URSS oggi sembra essere l’Occidente – provoca ancora Dreher – a farti provare quella spiacevole sensazione di dover «fare molta attenzione a ciò che si dice, Perché se si dicono le cose sbagliate si rischia di perdere il proprio lavoro, perfino gli amici. Ed è incredibile che tutto ciò accada in una democrazia liberale». Secondo lo scrittore Usa, una società basata sul liberalismo può aver senso solo se resta profondamente cristiana, ma oggi purtroppo non è più così: «I conservatori giocano secondo le regole del liberalismo classico, ma la sinistra non lo fa». Per Dreher resta piuttosto assurdo che Amazon renda possibile l’acquisto del “Mein Kampf” di Hitler e invece impedisca un libro che potrebbe indisporre i trans: «Amazon, secondo le regole del liberalismo classico, può fare ciò che vuole, essendo una azienda privata. Il problema è che Amazon controlla il 70% del mercato librario, quindi se smette di vendere un certo tipo di libri nei fatti cancella una intera area culturale». Per questo il pensatore americano piuttosto che con l’Occidente di oggi, preferisce Orban e le leggi “che forzano” il liberalismo (non si rischia però di avere gli stessi problemi illiberali, solo cambiando sponda politica?, ndr): «La sinistra usa gli spazi concessi dal liberalismo per cambiare la società. Io vorrei una società liberale, ma il liberalismo non ci deve condurre al suicidio. A me pare che stiamo vivendo un momento come quello che visse la Spagna negli anni Trenta, sull’orlo della guerra civile». Serve resistere, professa Dreher, e serve farlo soprattutto per i cristiani ma non solo, per tutti quelli che hanno a cuore la libertà e non vogliono rimanere sottomessi alla dittatura del pensiero di stampo neo-sovietico: «I cristiani devono aprire gli occhi, devono farsi trovare pronti anche se i vescovi e le gerarchie agiscono diversamente. Nessuno sa quando potrebbe iniziare una vera, grande persecuzione. Ma quando inizierà bisognerà farsi trovare pronti». La critica tutt’altro che tenere arriva contro la Chiesa cattolica in alcune delle sue gerarchie, con lo scrittore che chiosa nella sua intervista a “La Verità”, «Se il mondo ti ama forse stai facendo qualcosa di sbagliato. Molti ecclesiastici vogliono essere amati dal mondo. Ma nel mondo post cristiano quello che dovresti fare in quanto cristiano è prepararti ad essere odiato. Gesù voleva discepoli, non ammiratori. Quando c’è da soffrire, gli ammiratori scappano, i discepoli restano».

Leggi anche

AUTONOMIA/ Sì al regionalismo, ma solo se solidale e non competitivo