Il long covid è un fenomeno ancora da studiare e approfondire, ma stando ad un lavoro italiano pubblicato recentemente su Lancet, il rischio è maggiore se si prende Omicon. «L’analisi britannica conferma le nostre preoccupazioni, sia in termini di conseguenze individuali del Long Covid sia di ricadute sociali, e compare in coincidenza con un report sul tema appena elaborato dall’Accademia Nazionale dei Lincei», le parole a commento del professor Alberto Mantovani, direttore scientifico dell’Istituto Humanitas di Milano e primo firmatario del documento, intervistato stamane dal Corriere della Sera. «Del resto – ha aggiunto l’autorevole luminare – già nello studio tedesco Epiloc, il 20% delle persone (fra i 18 e i 25 anni) aveva riferito almeno una moderata compromissione del proprio stato di salute e della capacità lavorativa a distanza dall’infezione acuta. Altre stime inglesi parlano di disturbi nel 20% dei casi dopo 5 settimane e nel 10% dopo 3 mesi. Indagini cinesi hanno evocato problemi anche dopo 2 anni . I sintomi, a cominciare da dolori e spossatezza, sono di varia gravità e possono investire polmoni e bronchi, sistema nervoso, rene, intestino, senza dimenticare l’impatto sulle funzioni metaboliche. Uno degli impatti che è emerso con maggior forza più di recente è quello che insiste su cuore e vasi».

Il direttore di Humanitas si è soffermato anche sulle vaccinazioni anti covid, sottolineando quanto ci sia ancora confusione in merito al long covid: «Sebbene le indicazioni sul suo ruolo protettivo anche nei confronti del Long Covid siano solide, circolano alcuni dubbi, instillati anche da una ricerca sui veterani americani che riconosce alla vaccinazione una protezione significativa ma limitata verso la sindrome. Questa ricerca ha però grandi limiti metodologici dal momento che ha incluso soltanto il 10% di donne nel campione, sebbene siano più suscettibili al problema, e ha preso in considerazione schemi di vaccinazione incompleti, cioè a base di una sola dose di vaccino con adenovirus o due dosi con vaccino a mRna, quando è assodato che ne servono due del primo tipo e tre del secondo. Tant’è vero che dati israeliani, al contrario, dimostrano come il ciclo completo di vaccinazione eserciti un effetto protettivo anche nei casi in cui ci si reinfetti dopo vaccinazione o malattia, come sta capitando a moltissime persone con le nuove varianti».

MANTOVANI: “SUL LONG COVID ALCUNI PROGRESSI INTERESSANTI”

Ecco perchè, sottolinea Mantovani, sul Long covid “c’è ancora molto da capire”, anche se alcuni lavori interessanti hanno permesso di avere qualche certezza in più: «Alcuni progressi interessanti sono stati tuttavia compiuti nella comprensione dei fattori che ne possono essere all’origine. Se il primo è lo stato di salute generale di partenza di chi viene infettato, ce ne sono altri che entrano in gioco. Uno è la persistenza silente, per esempio nell’intestino o nel sistema nervoso, del virus, che può risvegliarsi e/o innescare reazioni immunitarie».

«Un altro ruolo può rivestirlo – ha concluso Mantovani – la riattivazione di altri virus quiescenti dentro di noi, come quello di Epstein-Barr o il Citomegalovirus. Infine vi sono indicazioni di deviazioni della risposta immunitaria, cioè fenomeni autoimmunitari, indotti da Sars-CoV-2. Nel frattempo si stanno cominciando a identificare alcuni biomarcatori di gravità del Long Covid, come citochine, interferoni e Ptx3, una molecola scoperta per la prima volta da noi».