«Allo stato, non è possibile commentare una sentenza della quale non si conoscono le motivazioni. Merita però innanzitutto un rilievo critico la prassi, che va ormai affermandosi, di consentire all’Ufficio stampa della Corte costituzionale di “far sapere” (è l’espressione usata), di diffondere nel circuito mediatico un estratto della decisione, sul quale poi si esercita il dibattito pubblicistico e politico, benché si tratti (molto probabilmente e, verrebbe da dire, auspicabilmente!) soltanto di una sommaria semplificazione». Commenta così, Mario Esposito, ordinario di diritto costituzionale nell’Università del Salento, la decisione della Consulta in merito al Decreto Genova che ha fatto riemergere, insieme alla decisione di affidare “pro tempore” la gestione del nuovo Ponte Morandi ad Autostrade per l’Italia, il tema politico della revoca della concessione che divide la stessa maggioranza.
Professore, perché questa critica?
Di fatto, in fattispecie così complesse e delicate, tale condotta colloca la Consulta nel mezzo del contraddittorio politico: nel caso delle concessioni autostradali, il comunicato si presta a fungere da ausilio decisorio per un Esecutivo che ha manifestato spessissimo la tendenza a “decentrare” procedimenti e articolazioni organizzative al di fuori di quelle istituzionalmente preposte alle scelte politiche, con conseguente sottrazione alle dinamiche della responsabilità politica. Ciò posto, le norme del d.l. n. 109/2018 oggetto del giudizio di costituzionalità si risolvono in gran parte in una sorta di “sentenza emessa per legge”, in grave violazione di fondamentali principi costituzionali, che certo non possono subire compressioni “in via precauzionale”.
Cosa intende dire?
Basti pensare che all’attuale concessionario è stata inflitta la sanzione del divieto di partecipare alla procedure per l’aggiudicazione dei lavori di ricostruzione sulla base di due presupposti del tutto generici e congetturali: “al fine – si legge all’art. 1, co. 7 del decreto – di evitare un ulteriore indebito vantaggio competitivo nel sistema delle concessioni autostradali e, comunque, giacché non può escludersi che detto concessionario sia responsabile, in relazione all’evento, di grave inadempimento del rapporto concessorio”. Quest’ultima disposizione converte la presunzione di innocenza in presunzione di colpevolezza e, sottraendo la questione alla competenza della giurisdizione, ne fa derivare conseguenze definitive: quasi un’incapacità a contrarre inflitta per motivi politici, a dispetto dell’art. 22 Cost. Con la stessa “tecnica”, si fa carico alla stessa società dei costi di ricostruzione. Per sovrammercato, in questo modo si “risparmia” al concedente ogni accertamento in ordine alle sue eventuali responsabilità, se non altro per omissione.
Come può evolvere a questo punto la vicenda relativa alla concessione ad Aspi di cui si discute da quasi due anni? Il Governo ha le “carte in mano” (e “in regola”) per una revoca?
Se la revoca è quella prevista dal decreto milleproroghe, non si tratta certamente di carte in regola! Esiste un regime generale della revoca delle concessioni, l’unico che possa essere legittimamente applicato, fermo ovviamente restando il diritto di difesa del concessionario.
A proposito del decreto milleproroghe, che è intervenuto rivedendo al ribasso l’indennizzo in caso di revoca della concessione, la Corte Costituzionale dovrà pronunciarsi anche su tale norma. C’è il rischio che il Governo decida per la revoca trovandosi poi a dover pagare un indennizzo più alto rispetto a quello preventivato?
Sulla base di questo precedente, è concreto il timore che la Corte costituzionale possa “assolvere” anche il regime ad hoc introdotto per la revoca, le cui criticità ho avuto modo di segnalare a suo tempo proprio su queste pagine. Semmai è da credere (e le notizie di stampa lo confermano) che il Governo, avvalendosi dell’estratto di sentenza appena pubblicato, si sieda al tavolo delle trattative nella posizione egemone che esso stesso si è attribuita (ab)usando della doppia veste di concedente e di autorità politica, soccorrendo il primo con gli imperativi della seconda.
Si parla anche dell’ipotesi di lasciare la gestione della rete ad Aspi, ma con una sorta di “commissariamento”, un po’ come emerge dalla lettera della ministra De Micheli sul nuovo Ponte Morandi. Sarebbe una soluzione effettivamente praticabile?
Sarebbe necessario conoscere meglio i dettagli del “commissariamento” al quale fa riferimento: si rischia altrimenti di indulgere agli slogan. La sottrazione del controllo dell’impresa all’imprenditore esige specifici e ragionevoli presupposti e, in ogni caso, non può integrare un modo ordinario di gestione, quand’anche in deroga. Del resto esistono precisi poteri/doveri di controllo in capo al concedente: non vorrei che tali proposte fossero un tentativo di annacquare il problema del loro mancato esercizio, divenuto in Italia quasi endemico.
(Lorenzo Torrisi)