La decisione sulla revoca della concessione di Autostrade per l’Italia pare verrà presa a breve e, secondo gli ultimi rumour, non dovrebbe essere favorevole ad Atlantia. La nuova puntata nella faida ormai quasi biennale tra Governo e società controllata dai Benetton non era scontata; all’inizio di settembre, con l’insediamento del nuovo esecutivo, l’ipotesi revoca sembrava definitivamente accantonata anche per la contrarietà del nuovo partito di maggioranza, il Pd. È stato quello che è emerso con le indagini della procura di Genova a spostare gli equilibri e poi  ancora nelle ultime settimane altri segni di “decadimento” dell’infrastruttura con il crollo di un pezzo di galleria.



Ci sono tre elementi su cui ci sembra sia maturata un’opinione condivisa. Il primo è che la convenzione firmata tra Stato e Autostrade per l’Italia è fortemente e in modo del tutto anomalo sbilanciata in favore del “privato” al punto che i termini sull’indennizzo rendono debolissima la posizione del Governo anche in caso di inadempienza del concessionario. La penale definita in via del tutto eccezionale dal contratto e con un iter particolarissimo mette lo Stato italiano nella condizione di dover rischiare un indennizzo mostruoso. Sono percorsi, appunto, assolutamente anomali nella dinamica tra Stato e concessionario. Il secondo elemento è che lo sviluppo delle concessioni, degli incrementi tariffari, del traffico spesso sottostimato e degli investimenti effettivi ha determinato, come segnalato più volte da organi dello Stato, extraprofitti ingenti. Di questo si ha una conferma indiretta ma abbastanza inequivocabile dall’offerta fatta a premio sui massimi e per cassa sul principale concorrente europeo senza che nessuno rilanciasse e con i profitti fatti sulle autostrade italiane in regime di monopolio. Il terzo elemento è che tutto l’impianto delle concessioni autostradali non funziona e avrebbe bisogno di una riforma radicale.



Dato che le concessioni scadono tra decenni, e nel caso di Autostrade per l’Italia tra vent’anni, è chiaro che se la concessione è sbagliata e non tutela o non garantisce la sicurezza o determina profitti assolutamente non coerenti con il, bassissimo, rischio d’impresa non si può aspettare. La questione è che per quanto la concessione sia sbilanciata al punto di essere nulla in alcune sue parti e per quanto il concessionario possa essere “colpevole” di una manutenzione non “perfetta” rimane il rischio di un risarcimento colossale che rimarrebbe possibile come conseguenza di una battaglia legale che si preannuncia sanguinosa. C’è un secondo problema: assumiamo per assurdo che la manutenzione sia stata insufficiente perché magari, sempre in via del tutto ipotetica, bisognava pagare dividendi e che quindi oggi la rete sconti due decenni di gestione subottimale: chi si prende il rischio, penale e finanziario, della gestione? Vorrebbe dire che per rigirare la concessione a un nuovo soggetto privato lo Stato italiano dovrebbe mettere mano a un piano di manutenzione straordinaria con i soldi dei contribuenti.



C’è infine il problema di una stagione delle privatizzazioni che deve continuare a essere esente da critiche e di un approccio che vede il privato come buono, bello e bravo a prescindere. Il discorso è più ampio. Diciamo pure che lo Stato è inefficiente a prescindere, la questione potrebbe essere posta in questi termini: la situazione attuale è comunque migliore della gestione inefficiente dello Stato? Quale è il “second best”? Visto quello che è successo e che continua a succedere e data la pessima prova che lo Stato ha dato di sé in sede contrattuale è lecito farsi qualche domanda. Lo Stato cattivo controllore perché debole, ricattabile o peggio forse non dovrebbe volere come controparte un privato con una concessione blindata. È lo Stato forte che si può permettere di avere una controparte privata che “ha paura” e “riga dritto”, ma quello debole, con partiti “liquidi”?

La questione dovrebbe essere affrontata in termini “pratici”. Levare la concessione è una buona soluzione a patto che l’indennizzo sia ragionevole e che ci sia un nuovo quadro che consenta la gestione dell’infrastruttura. Bisognerebbe anche essere nelle condizioni di gestire le conseguenze finanziarie. L’alternativa è ottenere modifiche sostanziali anche dal punto di vista finanziario della concessione esistente. La peggiore soluzione possibile è ovviamente quella di pagare un indennizzo salato per ritrovarsi con i cocci da sistemare a proprie spese; chi ha avuto ha avuto, chi ha dato ha dato.