La revoca della concessione di Atlantia non è più un’opzione dopo le dichiarazioni del neo-ministro De Micheli; la nuova opzione, da contratto del governo, è una “revisione” che ovviamente può voler dire tutto e il contrario di tutto.

Quello che più colpisce è l’oblio che circonda una vicenda che invece dovrebbe suscitare un dibattito vivace, se non altro per evitare a contribuenti, cittadini e governo un’altra esperienza “sub-ottimale” nell’ampia vicenda delle “privatizzazioni”.



Di tutto quello che si è scritto su Atlantia e dintorni il macro quadro è questo: il concessionario di un Paese che non cresce da almeno dieci anni, che ha avuto due recessioni bestiali in meno di cinque anni ha comprato con i soldi fatti sulle autostrade italiane il maggior operatore autostradale spagnolo, uno dei maggiori francesi, un paio di aeroporti medi in Europa e la quota di maggioranza del tunnel sotto la Manica. Questo senza smettere di pagare dividendi per centinaia di milioni ogni anno.



Non c’è alcun concessionario in Europa né nel mondo che ha potuto fare questo e in qualsiasi altro Paese del globo la “politica” sarebbe arrivata prima a limitare quello che nei fatti è stato un gigantesco trasferimento di valore a pochissimo prezzo da pubblico-contribuente a privato. In Francia, tanto per intenderci, questo sarebbe stato inconcepibile.

La seconda vicenda è che, mentre questo accadeva, un ponte che tutti sapevano essere malandato e che probabilmente doveva essere tirato giù e rifatto ex-novo è caduto. Tra i tantissimi problemi che ha l’Italia sicuramente non c’è quello di un concessionario autostradale povero. Ora, ci rendiamo conto che lo Stato italiano è riuscito nell’impresa di scrivere una concessione con un concessionario privato senza mai nominare la parola sicurezza, impegnandosi – incredibile – a corrispondere tutto il valore dei ricavi futuri sostanzialmente anche in caso di inadempienza, però dovrebbe esserci un limite a tutto.



Eppure, se uno avanza queste perplessità, viene immediatamente tacciato di statalismo. Ma qua siamo di fronte a uno schema che non ha uguali nel mondo.

La terza questione è questa. La “mitica” revisione di cui si sparla finirà in un mini-taglio del rendimento fuori mercato che è stato promesso per le nuove opere e i nuovi investimenti. Chi scrive non ha il problema di un concessionario privato, ma il problema di garantirgli un rendimento fuori mercato su un investimento senza rischio che si basa su un monopolio sì. La revisione al ribasso del rendimento dei nuovi investimenti si confronta con uno scenario che rispetto a due anni fa vede migliaia di miliardi di obbligazioni con rendimento negativo. Nella sostanza saremo ancora ampiamente fuori mercato. E per garantire quei rendimenti senza aumenti tariffari si ricorrerà all’allungamento delle concessioni.

Altro che “mercato” e “concorrenza”: un monopolio privato è passato da pubblico a privato e non tornerà mai più sul mercato perché la concessione che oggi scade nel 2038 diventerà 2043 e tra cinque anni, scommettiamo, 2046 e così via. Lo scontro non è tra statalisti e mercati.

Ma di tutto questo non si parla e non si deve parlare.