La “trattativa” tra Governo e Autostrade per l’Italia (Atlantia) è a un punto morto. A settembre, dopo l’insediamento del nuovo esecutivo, tutto indicava che l’ipotesi di revoca non fosse più sul tavolo e si potesse procedere verso una forma di “revisione” concordata. Invece le indagini della Procura di Genova, con annesse intercettazioni, non hanno messo il concessionario sotto una luce eccezionale e gli interrogativi sulla qualità delle manutenzioni si sono moltiplicati; sono interrogativi molto antipatici considerati i flussi di cassa generati e poi pagati sotto forma di dividendi negli ultimi anni.



In questo momento l’azione del Governo si è arenata. La questione viene posta in questi termini: effettivamente non possiamo non contemplare l’ipotesi di revoca della concessione se come sembra il concessionario è inadempiente, però dovremmo pagare un indennizzo molto alto che peserebbe sul debito dello Stato. Tutte le volte che si intravede un accordo nuovi elementi mettono in cattiva luce il concessionario, per cui la possibilità della revoca non solo rimane sul tavolo, ma diventa lo scenario di riferimento nonostante sia chiaro che in pochi vogliano davvero procedere su una strada che confermerebbe giudizi molto negativi sulla stagione delle privatizzazioni. Un giudizio, tra l’altro, che tocca partiti politici più di altri.



Tutto il dibattito si ferma quindi su questo snodo: sì, è vero, forse dovremmo a questo punto e visto quello che è emerso revocare la concessione, però ci tocca mettere sul bilancio pubblico molti debiti in più e poi non vorremo mica tornare allo Stato imprenditore? Il dibattito però è inquinato da analisi che sono davvero parziali. Sono analisi fintamente realiste. La questione è presentata in termini che sono più o meno questi: forse fare un mutuo per comprare una casa ha senso, ma poi vi trovate con un sacco di debiti in più. Sì, aggiungiamo noi, ma anche con la casa.

Revocare la concessione implica sicuramente più debito, per circa 20 miliardi di euro, ma anche la proprietà di un bene che genera più di 2,5 miliardi di euro di reddito operativo all’anno. Un rendimento molto appetibile nell’attuale contesto di tassi sfasciati. Allora la questione è diversa. Una volta che abbiamo revocato la concessione poi cosa facciamo? Perché quella concessione impacchettata come si deve, con uno schema di concessione come si deve state pur certi che un compratore lo trova e a prezzi come minimo in linea a quelli del maggior debito. Un cassettista italiano, per esempio, potrebbe comprare sicuramente qualche azione visto che magari ha in portafoglio titoli di Stato a rendimento nullo o negativo. Autostrade per l’Italia non è l’unico concessionario privato efficiente del sistema solare.



Poi ci si potrebbe persino interrogare su alcuni dogmi di fede. Lo Stato evidentemente non è bello e buono a prescindere, ma neanche la public company quotata è un modello bello e buono a prescindere. Questo è un dibattito di cui si trova traccia da diversi trimestri sul Financial Times che si è interrogato in più occasioni sui risultati indesiderati di certe privatizzazioni che presupponevano, sbagliando, che il privato sotto forma di public company quotata non avesse praticamente nemmeno bisogno di controlli. Un’ideologia uguale e contraria a quella che si vuole attaccare. Magari lo Stato italiano, per esempio, si potrebbe tenere un pezzettino a garanzia che nessuno arrivi pensando di fare cassa su un monopolio pubblico anche a costo della sicurezza.

Presentare il problema fermandosi al maggiore debito è talmente errato e illogico dal punto di vista strettamente finanziario che uno quasi si chiede se non ci sia una difesa a tutti i costi di un certo modello e magari persino di un certo concessionario. È chiaro poi che il tempo che passa lavora in favore del concessionario esistente perché nessun Governo si può permettere di rimanere in guerra per dieci anni. Oltretutto dovrebbe essere chiaro a tutti che concessionari titolari di concessioni pluridecennali hanno dalla propria parte il tempo, essendo la controparte un Governo che nella migliore delle ipotesi dura cinque anni e magari non arriva al Natale successivo. Un altro errore della mitica stagione delle privatizzazioni con cui si è depredato lo Stato. Vi pare normale firmare concessioni che durano due generazioni?

Il problema quindi non è finanziario come ci vogliono far credere, ma tutto politico. All’interno del politico ci sono temi ideologici, temi di durata dei Governi e ovviamente anche temi molto meno “alti”.