Le “nuove” regole sulle concessioni balneari (da gennaio 2024 dovranno essere assegnate tramite gare pubbliche), in realtà nascono vecchie. Il combinato del ddl concorrenza, che lunedì dovrà essere approvato al Senato per poi passare alla Camera, nel capitolo riguardante i balneari è solo un compromesso che di fatto non sposta una virgola da quanto si sapeva già da tempo, ossia che il nodo principale (il ristoro da riconoscere a chi perderà la gara sulla base di perizia sugli investimenti sostenuti) è demandato ai decreti attuativi, che dovranno essere emanati entro sei mesi. Fatto ampiamente previsto anche da chi sembrava avervi issato le barricate (aiuto: stiamo per affidare le nostre spiagge a colossi stranieri! Aiuto: migliaia di imprese familiari finiranno sul lastrico!). 



A dire il vero, il capello era spaccato in tre: indennizzi sulla base del totale valore d’impresa (cioè beni concreti ma anche immateriali, l’avviamento, come usava un tempo per la transazione di qualsiasi attività commerciale); perizie indipendenti; valore d’impresa puro (senza considerare gli investimenti). Il compromesso sul quale si stava per battagliare a colpi di voti di fiducia è stato semplice: un po’ di tutto. Ovvero tra sei mesi i decreti dovranno contemplare criteri omogenei e indennizzi a carico dell’impresa subentrante basati su valore, avviamento, perizia (anche con premialità per l’esperienza del cedente). Sarà curioso, insomma, verificare se in questo semestre si saprà far quadrare il cerchio.



Tutti soddisfatti? Mica tanto. La sentenza del Consiglio di Stato arrivata lo scorso novembre ha messo a nudo posizioni anche molto diverse sul mondo delle concessioni balneari (usufrutto di spiagge, laghi e fiumi per l’esercizio delle attività turistico-ricreative e sportive). Il CdS aveva stabilito che dal primo gennaio 2024 gli spazi demaniali finora assegnati ai concessionari in regime di (infinite) proroghe torneranno allo Stato; la riassegnazione dovrà avvenire tramite gare da organizzare entro il 31 dicembre 2023, ma è previsto uno slittamento di un anno per “particolari ragioni”, casi limite che impediscano lo svolgimento delle gare. 



Ovvio che per fare le gare bisogna almeno sapere cosa si vuole bandire a gara, peccato che la mappatura dell’esistente ancora non ci sia in almeno metà delle regioni: alcune non l’avrebbero nemmeno iniziata. D’altra parte, ci sono distretti (come le coste venete) che al contrario non solo hanno chiara la situazione, ma da tempo hanno anche provveduto alle gare, e quindi non dovranno ricorrere a nuove riassegnazioni perché già in regola. È evidente che chi ha solo sfruttato una rendita di posizione demaniale, senza particolari investimenti, vede la fine delle infinite proroghe che avevano caratterizzato tutto il comparto come una spada di Damocle. Ma è altrettanto chiaro che chi ha provveduto a una gestione oculata, con conti a posto (per il fisco però sarebbero “inaffidabili” sei gestori su dieci), e ha creduto nella sua attività tanto da spendere risorse nelle strutture ma anche nella cura dell’ambiente assegnato, non individua nelle future gare nessun ostacolo.

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