E bravo il ministro Fitto, che in un colpo solo ha saputo accontentare la premier, trovare un’intesa con la Commissione europea e accreditarsi ancor più come elemento assolutamente affidabile per i prossimi incarichi comunitari. Il risultato è stato raggiunto con le nuove norme sulle concessioni balneari, approvate dal Consiglio dei ministri e subito accettate da Bruxelles, che ha commentato positivamente la riforma e gli “scambi costruttivi” con Roma, sottolineando che si tratta di “una soluzione globale, aperta e non discriminatoria che copre tutte le concessioni da attuare entro i prossimi tre anni”. Sembrerebbe che, come accade regolarmente dopo ogni tornata elettorale, abbiano vinto tutti. Ma c’è qualche voce fuori dal coro. In primis quella dei più diretti interessati, i balneari.



Com’è ormai noto, il nuovo ddl Meloni-Fitto propone di estendere la validità delle concessioni fino al 30 settembre 2027 (praticamente quando l’attuale legislatura sarà a scadenza naturale); gli enti locali dovranno concludere le gare entro il 30 giugno di quell’anno, con la possibilità di poter arrivare fino al 31 marzo 2028 in caso di “pendenza di un contenzioso o difficoltà oggettive legate all’espletamento della procedura stessa”.



Saranno quindi i sindaci “a decidere se applicare la proroga oppure avviare subito le gare – sostiene Mondobalneare, l’house organ di categoria –, e qui sta uno degli elementi controversi del ddl. Com’è noto, il Consiglio di Stato e la Corte di giustizia europea hanno imposto la scadenza delle concessioni al 31 dicembre 2023 e proibito qualsiasi forma di rinnovo automatico sulle concessioni, pertanto il rinvio al 2027 rischia di essere disapplicato dai tribunali, come già avvenuto con le precedenti proroghe al 2020 e al 2033. Per camuffare questa ennesima proroga automatica, il governo ha deciso di scaricare sugli enti locali la facoltà di applicarla oppure di avviare subito le procedure selettive. Resta da vedere quanti sindaci e funzionari si prenderanno il rischio e la responsabilità legale di approvare la norma. Già quest’anno l’Autorità garante della concorrenza ha diffidato e denunciato al Tar tutti gli enti locali che hanno usufruito della proroga tecnica al 31 dicembre 2024, prevista dalla legge Draghi, e potrà fare lo stesso con chi disporrà ulteriori estensioni, avviando altri contenziosi che sia i Comuni che i balneari vogliono evitare, poiché tutti sono stati finora fallimentari. Anche se concordata con l’Ue, la proroga al 2027 appare dunque non scontata e dovrà passare al vaglio del Quirinale, che si era già opposto alla precedente proroga di un anno voluta dal Governo Meloni nel decreto milleproroghe di febbraio 2023”.



Dunque, ancora niente è scontato. Resta aperta poi la questione degli indennizzi, che somigliano molto all’onere dell’avviamento di antica scuola. Secondo il disegno di legge, “in caso di rilascio della concessione a favore di un nuovo concessionario, il concessionario uscente ha diritto al riconoscimento di un indennizzo a carico del concessionario subentrante pari al valore degli investimenti effettuati e non ancora ammortizzati al termine della concessione (…) nonché pari a quanto necessario per garantire al concessionario uscente un’equa remunerazione sugli investimenti effettuati negli ultimi cinque anni, stabilita sulla base di criteri previsti con decreto del ministro delle Infrastrutture e dei trasporti, di concerto con il ministro dell’Economia e delle finanze da adottarsi entro il 31 marzo 2025”.

Ma i concessionari sostengono che calcolare un indennizzo pari al valore degli investimenti degli ultimi cinque anni significa ricevere una buonuscita economica molto più bassa rispetto all’intero valore aziendale, come chiedevano invece le associazioni di categoria. Negli ultimi cinque anni, infatti, gli investimenti sono stati molto ridotti proprio a causa dell’imminente scadenza delle concessioni, che non ha incentivato i balneari a grandi spese. Inoltre, i titolari degli stabilimenti rivendicano di essere titolari di un’impresa privata, seppure situata su suolo pubblico, e pertanto di avere diritto a un indennizzo pari all’intero valore aziendale, in caso di cessione a un altro gestore. Anche per questo, si prevede insomma una pioggia di ricorsi da parte dei concessionari uscenti.

Perplessità anche sulla facoltà lasciata agli enti locali (che somigliano sempre più a veri parafulmini) di imporre la demolizione delle strutture pre-esistenti non amovibili, a spese degli uscenti; sull’aumento indiscriminato dei canoni demaniali del 110%; e sulla possibilità, ancora lasciata agli enti locali, di poter favorire le offerte che proporranno un rialzo economico sugli indennizzi. “Ciò significa – sostiene la categoria – che le gare potranno favorire chi avrà maggiore disponibilità economica, aprendo di fatto agli accaparramenti da parte di grandi realtà finanziarie, soprattutto nelle zone ad alta valenza turistica”.

Ma non sono solo i balneari a protestare. Sono già insorte, infatti, le opposizioni e le associazioni dei consumatori – come riporta AGI – che parlano di una presa in giro che in sostanza non modificherà nulla e chiedono a Bruxelles di non ratificare il provvedimento del Governo. “Dal governo l’ennesimo rinvio sui balneari: prendono in giro loro, bloccano gli investimenti, creano il caos negli enti locali e portano ancora una volta l’Italia verso una procedura di infrazione Ue”, ha dichiarato l’eurodeputato Pd Matteo Ricci. E il M5s sottolinea: “Una proroga triennale per le attuali concessioni, già dichiarate illegittime dal Consiglio di Stato, è la pagliacciata finale del governo Meloni, dopo due anni di immobilismo totale”.

Critiche anche dalle associazioni dei consumatori: per il Codacons è una “presa per i fondelli che non risolve in alcun modo il nodo balneari”, e l’Unione nazionale dei consumatori sottolinea come si “costringe il nuovo concessionario a pagare quello vecchio.

 

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